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La vita umana ha un valore grazie al pensiero cristiano

di Tommaso Cardinale, 3 dicembre 2018

Come sarebbe il nostro sistema educativo se il pensiero spartano avesse prosperato? E come vedremmo gli stranieri se l'eredità politica di Giulio Cesare fosse stata tramandata nei secoli? Lo studio dei classici ha portato Tom Holland, scrittore e storico inglese, a rivalutare la prospettiva cristiana, soprattutto per quanto riguarda la concezione generale della vita umana.

In questo articolo lo studioso, vincitore del premio internazionale di letteratura storica Hessell-Tiltman Prize, spiega come la basilare concezione della dignità umana diffusa nel mondo occidentale debba la propria origine unicamente al pensiero cristiano. La traduzione dell’articolo originale pubblicato su NewStatesman è nostra.

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Gli anni trascorsi a scrivere questi lavori sul mondo classico - vivendo intimamente in compagnia di Leonida e di Giulio Cesare, degli opliti morti alle Termopili e dei legionari che avevano trionfato ad Alesia - non hanno fatto altro che confermare la mia fascinazione: Sparta e Roma, se sottoposte alla più minuta inchiesta storica, non mancarono mai di incarnare le qualità di un predatore all'apice della catena alimentare. Continuavano a riempire la mie immaginazione come sempre fatto, allo stesso modo di un tirannosauro.

Eppure i carnivori giganti, per quanto meravigliosi, sono per loro natura terrificanti. Più tempo passavo immerso nello studio dell'antichità classica, più continuavo a trovarlo alieno e inquietante. I valori di Leonida, il cui popolo aveva praticato una forma particolarmente micidiale di eugenetica, e addestrato i giovani a uccidere presuntuosamente i popoli inferiori nella notte, non erano valori che io riconoscessi come miei; né lo erano quelli di Cesare, che secondo quanto riferito avrebbero ucciso un milione di Galli, riducendone in schiavitù un altro milione.

Mi sono ritrovato a giudicare scioccanti non soltanto queste vette estreme di insensibilità, ma soprattutto la mancanza di un senso entro il quale il povero o il debole possano avere un valore intrinseco. La convinzione fondante dell’Illuminismo in quanto tale - che non doveva nulla alla fede in cui erano nate la maggior parte delle sue più grandi figure - mi sembrava sempre più insostenibile.

"Ogni uomo ragionevole", scrisse Voltaire, "ogni uomo onorevole, deve ritenere la setta cristiana un orrore". Piuttosto che riconoscere che i suoi principi etici potessero dover qualcosa al cristianesimo, ha preferito derivarli da una serie di altre fonti: non solo la letteratura classica, ma la filosofia cinese e il potere attribuito da essa alla ragione.

Eppure Voltaire, nella sua preoccupazione per i deboli e gli oppressi, era segnato più profondamente dal marchio etico di matrice biblica di quanto non volesse ammettere. La sua sfida al Dio cristiano, in un paradosso che certamente non gli apparteneva, si basava su motivazioni che, almeno in parte, erano riconoscibilmente cristiane.

"Predichiamo Cristo crocifisso", dichiarò san Paolo, "scandalo per gli ebrei, follia per i greci." Aveva ragione. Niente avrebbe potuto essere più contrario alle credenze più profondamente radicate nei contemporanei di Paolo: ebrei, greci o romani. L'idea che un dio potesse aver sofferto la tortura e la morte su una croce era così scioccante da sembrare ripugnante. La familiarità con il racconto biblico della Crocifissione ha attenuato il nostro senso di quanto fosse completamente nuova la divinità di Cristo. Nel mondo antico, il ruolo degli dei era infliggere punizioni per sostenere l’ordine dell’universo che pretendevano di goverare, non certo soffrire.

Oggi, anche se credere in Dio è sempre meno comune in Occidente, i paesi che una volta erano conosciuti collettivamente come “la cristianità” continuano a portare il marchio della rivoluzione bimillenaria rappresentata dal cristianesimo. È la ragione principale per cui, in generale, la maggior parte di noi che viviamo in società post-cristiane dà per scontato che è più nobile soffrire che infliggere sofferenza. È il motivo per cui in genere assumiamo che ogni vita umana abbia lo stesso valore. Nella mia morale e nella mia etica, ho imparato ad accettare che non sono affatto greco o romano, ma completamente e orgogliosamente cristiano.

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