Fino a dove possono arrivare le intelligenze artificiali nell’imitazione del comportamento umano? I robot sono capaci di provare sentimenti? Rispondiamo a queste domande classiche con un articolo del DISF, che parte da una domanda suggestiva.
L’intelligenza artificiale regola la delicatezza dello stringere: potrà sostituire la dolcezza della stretta di mano?
No, perché ci sono cose che le macchine, in ogni caso, non saprebbero fare mai: provare sentimenti e acquisire la consapevolezza di sé. Sono qualità che resteranno sempre proprie della persona umana. I computer sanno ricordare e gestire una quantità di informazioni con velocità e precisione impossibili per l’uomo e cominciano ad “apprendere”. Si ritiene che gli algoritmi sapranno decidere meglio degli uomini, che i robot saranno più abili in tutto.
Certamente il lavoro umano è destinato a cambiare e sarà progressivamente sostituito dalle macchine: ma precisamente ciò richiede all’uomo una grande capacità di riflessione e di progettualità. Infatti, sarà sempre la coscienza dell’uomo quella che introdurrà nelle macchine i riferimenti etici in base ai quali queste potranno prendere le decisioni.
Intelligenza ed emozioni sono state attribuite soltanto alla razionalità umana: possiamo applicarle anche ai robot?
L’intelligenza artificiale riproduce alcune delle caratteristiche dell’intelligenza umana: la capacità di ricordare e analizzare informazioni, organizzate dai progettisti umani; la capacità di prendere decisioni secondo criteri predeterminati, la capacità di apprendere dall’esperienza, per mezzo del confronto con i dati già immagazzinati e in base a regole previste, applicate attualmente solo a problemi specifici e limitati. In alcune di queste attività le macchine ottengono ottimi risultati, e colpisce l’immaginario collettivo l’abilità dei computer di competere a scacchi con i grandi campioni umani, riuscendo a sconfiggerli.
L’azione dei robot e l’Intelligenza artificiale compiono con precisione e rapidità i compiti per cui sono state programmate, determinati dagli algoritmi. Ma non ci sono algoritmi in grado di riprodurre le emozioni e i sentimenti. Un programmatore particolarmente abile può riuscire a imitare nel robot atteggiamenti esteriori che sembrano esprimere sentimenti, ad esempio il sorriso, o il dispiacere, o il pianto, similmente a quanto accade quando l’uomo assume quei comportamenti cosiddetti “di circostanza”: in funzione di ciò che gli succede intorno, o degli atteggiamenti delle persone, si possono codificare alcune reazioni convenzionali. Nel suo libro intitolato Silicio (Mondadori, 2019), in cui racconta la sua esperienza di vita come progettista e fondatore di aziende di componenti elettronici, Federico Faggin descrive con precisione l’impossibilità di trasferire alle macchine l’esperienza delle emozioni. Queste si verificano nell’uomo in maniera immateriale, sono legate a “moti dell’animo” e non sono riproducibili semplicemente come effetto di fenomeni elettrici. Mentre le percezioni sensoriali sono stimoli provenienti dall’esterno, e possono essere realizzate nei robot mediante sensori e trasduttori, che le trasformano in segnali digitali, le emozioni e i sentimenti prodotti dalle sensazioni, dai ricordi, da circostanze emotive, non sono riproducibili nelle macchine [...].
I robot e le intelligenze artificiali possono riprodurre il pensiero umano?
La prospettiva di riprodurre il pensiero umano nelle macchine fu la spinta iniziale agli studi sull’Intelligenza artificiale, a metà del secolo scorso, sulla base della convinzione che lo studio dell’uomo avrebbe spiegato completamente il funzionamento del cervello umano e che fosse possibile realizzare una macchina in grado di riprodurre tale funzionamento. Lo sviluppo delle neuroscienze e gli studi sul cervello umano hanno successivamente approfondito le relazioni esistenti tra cervello, mente e pensiero, raggiungendo la conclusione che il cervello e il pensiero umano hanno una complessità che non è raggiungibile da una macchina. Non solo dal punto di vista fisico – il nostro cervello è composto da circa 100 miliardi di neuroni connessi da un numero incalcolabile di sinapsi – ma anche perché sono state identificate una varietà di forme di intelligenza – gli studi di Gardner e di Goleman individuano, tra le altre, l’intelligenza logica, artistica, spaziale, emotiva, spirituale – che solo in parte sono realizzabili nei computer. Solo la parte che riguarda le capacità algoritmiche, razionali, è trasferibile alle macchine, e costituisce una piccola frazione del pensiero umano. Ciò appare evidente nelle applicazioni delle macchine al linguaggio. Si stanno ottenendo ottimi risultati in ambiti ristretti, in cui le macchine operano secondo uno schema “domanda-risposta” con un dizionario di parole e frasi stabilito dall’uomo e con semplici regole per estendere il dizionario in base ai dialoghi effettuati. Se si prende come riferimento il "test di Turing", la macchina può sembrare “intelligente”, cioè indistinguibile da un essere umano. Turing propose nel 1950 di “misurare” l’Intelligenza artificiale facendo dialogare a distanza una persona con un’altra persona o con una macchina. Se la sequenza di domande non “smascherava” la macchina, il test si considerava superato. L’interesse del test sta nel legare in qualche modo l’intelligenza alla capacità di parola. Ma nell’ambito della traduzione, o in quello ancor più difficile della composizione di testi originali, le macchine dimostrano tutti i loro limiti. Che sono ineliminabili.
Il Centro di Ricerca DISF, Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, mette a disposizione di tutti contenuti che approfondiscono i rapporti fra cultura scientifica e questioni filosofico-umanistiche suscitate dalle scienze stesse, con speciale attenzione all’orizzonte sapienziale fornito dalla Rivelazione ebraico-cristiana. Il DISF è diretto da Giuseppe Tanzella-Nitti, ed è un'iniziativa dell'Università della Santa Croce di Roma.
Articolo originale: https://disf.org/educational/faq/tomasi-mente-umana-intelligenza-artificiale
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