Eventi ricorrenti di cronaca nera (come quelli di Giulia Cecchettin, Vincenza Angrisano e di Meena Kumari) hanno suscitato un accorato dibattito sul femminicidio. Si fanno diverse ipotesi, motivazioni, considerazioni sul perché un uomo arrivi a uccidere la donna che "ama" (il virgolettato è d'obbligo).
Difficile per la complessità dei soggetti e delle situazioni venirne a capo. Abbiamo chiesto alla professoressa Marta Brancatisano, docente di Antropologia in pensione, di darci un punto di vista antropologico della questione.
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Per parlare di femminicidio innanzitutto bisogna fare una premessa sul significato di diversità: uomini e donne sono diversi, laddove diversità non esprime diseguaglianza, bensì un'unità di sostanza manifestata in modi differenti.
Un semplice esempio: un paio di scarpe, sono entrambe della stessa natura, hanno la stessa funzione, ma la destra è diversa dalla sinistra. Ciò significa che la diversità non esprime una valutazione di qualità, né un ordine gerarchico che rimanda all’essere migliore o peggiore dell'altro.
Quando parliamo di essere umano, dell'uomo e della donna, riconosciamo a entrambi la stessa sostanza, la stessa natura, gli stessi elementi costitutivi, ma espressi in maniera diversa. Da quelli materiali e quindi visibili come il corpo a quelli più spirituali come la ragione, le emozioni, ecc. Pertanto è conseguente dire che la mente femminile è diversa da quella maschile senza con questo affermare che le donne siano più intelligenti o meno intelligenti degli uomini.
Il sesso distingue uomini e donne
Ciò che opera la distinzione tra i medesimi elementi costitutivi dell'essere umano uomo dall'essere umano donna, è il sesso. Il sesso inteso come elemento che afferisce a tutti gli altri elementi dell'essere umano senza limitarsi al corpo. C'è un modo di essere intelligenti al femminile e al maschile, c'è un’emotività femminile o maschile e così via. Uomo e donna hanno la stessa costituzione, ma una postura differente nel proprio modo di vivere.
Fino all’inizio della contemporaneità la soppressione violenta di un essere umano veniva indicata con il termine omicidio. Sia il soggetto agente che la vittima potevano appartenere ad entrambi i sessi, a qualunque condizione sociale, a qualunque condizione culturale, si trattava sempre di un essere umano che toglieva la vita ad un altro essere umano.
Perché il termine femminicidio?
Perché si è introdotto il nuovo termine femminicidio? Perché si vuole specificare la soppressione di un essere umano che ha come agente e come vittima due specifici esseri umani, legati da una relazione particolare che è diversa da qualunque altra relazione umana.
Per femminicidio si intende la soppressione da parte dell'agente uomo della vittima donna, nel contesto di una relazione che non è materna, fraterna, amicale o professionale. Nel femminicidio si tratta di un uomo legato affettivamente, sessualmente, ad una donna, la quale decide di interrompere la relazione e determina come diretta conseguenza la reazione violenta ed estrema dell'uomo.
A questo punto dobbiamo chiederci: perchè nell'ambito di una relazione specifica come quella affettiva e sessuale, tra uomo e donna, è quasi sempre l'uomo che uccide? Perché la donna abbandonata, offesa o tradita non ricorre quasi mai a questo mezzo estremo? Ritengo che la risposta vada ricercata proprio nella differenza sessuale.
La donna è più legata alla vita rispetto all’uomo
La caratteristica prevalente del sesso femminile è quella di avere un legame diretto con la vita, legame che indubbiamente deriva alla donna dall'essere lei la principale "autrice" della vita. È vero che la nuova vita origina sempre dall’unione dell’uomo e della donna, per cui anche l'uomo è agente procreativo, ma è pur evidente che, da ogni punto di vista, a cominciare da quello relazionale-fisico tra madre e figlio, la produzione e il mantenimento in vita dell'essere appena concepito risiede nel potere, nella volontà, nella capacità della donna. È come se il suo marchio fondamentale fosse quello di "maneggiare" la vita, avere a che fare con la vita in modo diretto. Una specie di spiraglio aperto sul mistero che tutti ci accomuna, la vita.
Questo rende la donna in un certo senso più connessa alla vita stessa, in senso strutturale e quindi reale, ma non sempre percepito. Il maschio, al contrario, è colui che riceve la vita: sia dalla propria madre che dalla donna adulta scelta come compagna, il cui legame viene percepito come generatore e mantenente la vita. È come se, non sempre consapevolmente, il maschio sapesse di essere dipendente dalla femmina per la propria vita.
La dipendenza strutturale del maschio
Ciò rende il maschio affettivamente e strutturalmente dipendente dalla femmina, anche quando questa dipendenza non sia percepita, o quando non si siano impiegati gli strumenti culturali e caratteriali capaci di rendere questa dipendenza oggetto e motivazione di reciprocità, come avviene nella esperienza di amore pienamente umano.
Se questo è vero, in un rapporto unitivo, sentimentale e sessuale tra un uomo e una donna, l'abbandono da parte della donna provoca una ferita assoluta e irreparabile nell'istinto di sopravvivenza dell’uomo, scatenando quelle reazioni di intolleranza a questo tipo di pericolo, che portano, nei casi più estremi, alla soppressione di chi si è fatto agente di questa minaccia, cioè la donna.
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