L'Inquisizione medievale: procedura, tortura e sentenza finale

di Sara Maddaloni, 9 luglio 2024

Nel XIII secolo, come abbiamo esaminato nel nostro precedente articolo, l’Inquisizione divenne uno degli strumenti più potenti per combattere l'eresia. 

Ma come funzionava esattamente l’Inquisizione e qual era il suo vero scopo?

Per rispondere a questa domanda, possiamo fare riferimento a Bernardo Guido, un inquisitore che operò nel Tolosano dal 1307 al 1324. Nel suo manuale Practica inquisitionis heretice pravitatis, infatti, egli chiarisce che: “Il fine dell’officio dell’Inquisizione è la distruzione dell’eresia”. 

Gli eretici perseguitati dall'Inquisizione includevano i Catari, i Valdesi, i Beghini (discepoli di Pietro Giovanni Olivi) e i Fratelli della Povera Vita (Francescani dissidenti, noti anche come Spirituali). I Giudei, invece, non rientravano nella competenza dell'Inquisizione.

La procedura dell’inquisizione  

L'inquisitore iniziava la lotta all’eresia con una predica solenne, pronunciata nella piazza del paese, in cui descriveva l'orrore dell'eresia e i castighi, sia temporali che eterni, che attendevano gli eretici. Sottolineava, poi, l'importanza per gli eretici di abiurare e per gli altri di denunciarli all'inquisitore.

Il sospettato di eresia veniva citato a comparire altrimenti rischiava l'arresto della forza pubblica. L'interrogatorio avveniva alla presenza di due religiosi “dotati di discernimento” e di un notaio che redigeva il verbale. Le leggi particolari che regolavano l'ufficio dell'inquisitore non richiedevano il rispetto delle procedure comuni del diritto: gli imputati non avevano diritto a un avvocato, non potevano ricusare l'inquisitore né sottrarsi alla sua giurisdizione uscendo dal suo territorio di competenza. La colpevolezza era stabilita tramite confessione dell'imputato o prove testimoniali.

Ogni inquisitore aveva i propri metodi per ottenere la confessione dell'imputato. Bernardo Guidi, ad esempio, obbligava i sospetti a sostare davanti alla sua porta dall'alba fino a sera. Altri, invece, ricorrevano al digiuno, alle pastoie, alle catene e, soprattutto, alla detenzione.

La tortura 

L'inquisizione aveva inizialmente funzionato senza ricorrere alla tortura: il suo utilizzo nei processi contro gli eretici venne introdotto il 15 maggio 1252 da Innocenzo IV con la bolla Ad extirpanda. Essa, però, doveva essere amministrata solamente dal potere civile. 

La Chiesa aveva sempre condannato questo mezzo di acquisizione della prova: papa Niccolò I, nell’866 affermò che la tortura non era permessa né dalla legge divina né dalla legge umana. Eppure, a causa delle crescenti difficoltà nella lotta contro l’eresia anche la Chiesa arriverà ad adottare la tortura nei processi inquisitori. 

Il 4 agosto 1262 papa Urbano IV concedette, con la bolla Ut negotium fidei, agli inquisitori e ai loro colleghi e assessori la facoltà di assolversi reciprocamente dalle irregolarità incorse, favorendo, così, il diffondersi dell’uso della tortura. 

La sentenza finale 

Una volta assodato il crimine di eresia, il colpevole poteva o abiurare i suoi errori o perseverarvi. In entrambi i casi, dopo una deliberazione presa da un consiglio di uomini per bene, ecclesiastici, laici e un vescovo, una sentenza veniva pronunciata solennemente nel corso di un sermone generale. Se il condannato perseverava nell’eresia veniva scomunicato e condannato al rogo. In caso di abiura, invece, l’inquisitore gli imponeva una pena a scelta tra: prigione, segni d’infamia cuciti sui vestiti, pellegrinaggi, pene pecuniarie, confische di beni o distruzione di case. 

Se ti è piaciuto l'articolo condividilo su FacebookInstagram o Twitter, sostieni Documentazione.info. Conosci il nostro servizio di Whatsapp e Telegram? Puoi trovarci anche su Spotify e TikTok.