Chi era l’inquisitore?

di Sara Maddaloni, 6 agosto 2024

Quando si parla di lotta all'eresia, è inevitabile fare riferimento all'inquisitore. Ma quali erano i tratti distintivi di questa figura?

Nel corso dei secoli, il ruolo di inquisitore fu ricoperto per lo più da uomini appartenenti agli ordini mendicanti, soprattutto Domenicani. 

Tuttavia, la legislazione non richiedeva necessariamente l’appartenenza dell’inquisitore a un ordine religioso specifico. Ad esempio, Corrado di Magdeburgo, il primo inquisitore conosciuto, era un Premostratense (ovvero un canonico regolare), mentre a Tolosa, tra il 1249 e il 1255, gli inquisitori furono dei vescovi.

Il papato ricorreva prevalentemente agli ordini mendicanti, e nello specifico all’Ordine dei Domenicani, perché essi costituivano una milizia esente, che, in virtù della povertà mendicante, non era coinvolta negli affari di benefici ecclesiastici o in faccende finanziarie, ed erano intellettualmente preparati per il compito che veniva loro affidato.

San Domenico, riguardo alla predicazione contro gli eretici, riteneva giusto ricorrere al confronto per convincere e convertire; gli inquisitori domenicani, infatti, hanno sempre seguito questo principio.

Una spiegazione chiara ci viene fornita da Maisonneuve nei suoi Études sur les origines de l’Inquisition: 

I domenicani sono prima di tutto dei predicatori. Dal loro convento [...], partono, dietro ordine dei loro superiori, spesso anche dietro ordine del papa, per predicare nelle chiese e nelle pubbliche piazze. La loro predicazione è, certo, destinata a illustrare ai fedeli i pericoli dell’eresia, ma è anche, per gli eretici, un invito alla resipiscenza e contiene persino una minaccia. La predicazione tende naturalmente all’inquisizione. Più che due compiti distinti, vi sono qui due aspetti o due modalità dell’unica missione domenicana.  

Volontà dei pontefici era che l’inquisitore fosse prudente, ponderante, imparziale, onesto e puro.

Ma qual era il ritratto dell’inquisitore ideale? La risposta ci viene data da Bernard Guido nel suo manuale Practica inquisitionis hereticae pravatis:

Dev’essere diligente e fervente nel suo zelo per la verità religiosa, per la salvezza delle anime e per l’estirpazione dell’eresia. In mezzo alle difficoltà e agli ostacoli, deve rimanere calmo, non lasciarsi mai andare all’ira o all’indignazione. Dev’essere intrepido, fronteggiare il pericolo fino alla morte. […] Dev’essere insensibile alle preghiere e alle blandizie di coloro che lo pregano. [...] Nelle questioni dubbie, dev’essere circospetto, non dare facilmente fede a quanto pare probabile e spesso non è vero. [...] La misericordia e la verità, che non debbono mai abbandonare la mente del giudice, illuminino la sua faccia, di modo che il processo non possa sembrare viziato da parzialità o da crudeltà.

Al di là di quelle che possono essere le varie interpretazioni, secondo quanto afferma Vacandard, è lecito ritenere che gli inquisitori svolgessero il loro ufficio in buona coscienza: 

Un’altra caratteristica dell’inquisitore che mi sembra dover essere rilevata è la sua perfetta buona coscienza. Forse questo può meravigliarci un pò, ma non si vede che gli inquisitori provassero turbamenti interiori ad esercitare la loro funzione e ad esercitarla fino alle sue estreme conseguenze. Infatti hanno coscienza di non far altro che applicare, con massimo scrupolo, delle leggi che ritengono giuste e necessarie. 

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