Utero in affitto: viaggio in una clinica indiana

Traduzione di Gigliola Puppi, The Guardian, 29 maggio 2017

Julie Bindel, una studiosa del fenomeno della maternità surrogata, è andata in India per scoprire di più su una pratica che nel subcontinente indiano è stimata valere 690 milioni di sterline all’anno. Questo è il suo racconto pubblicato sul The Guardian. La traduzione è nostra.

Julie Bindel da Ahmedabad, aprile 2016

Ad Ahmedabad, nel Gujarat, il mio autista sta cercando una delle cliniche cittadine per la FIV. Giriamo in una strada affollata, e individuo un’insegna su un muro sbrecciato che dice “bambini in provetta”.

Salgo la maleodorante scala ed entro in una reception piccola e buia. Nella stanza accanto vedo una barella e scaffali pieni di capsule Petri metalliche, pinze e aghi ipodermici.

Il dottor Rana* mi conduce in un ufficio privo di finestre. Prima ancora di sederci, comincia a parlarmi dei cambiamenti nella politica indiana sulla maternità surrogata.

Nell’ottobre dello scorso anno il governo ha chiesto alle cliniche per la fertilità di interrompere tutti i trasferimenti di embrioni per conto di stranieri. Il gesto segue una proposta di cambiamento della legge, che vorrebbe limitare la maternità surrogata alle coppie indiane, o ai casi in cui almeno uno dei genitori committenti abbia passaporto e residenza indiani.

Avendo chiarito che né io, né la donna che interpreta mia cognata, abbiamo passaporto indiano, Rana mi consiglia di andare in Tailandia.

“Costa il doppio di qui” dice Rana, “ma selezionano anche il sesso, così molti vanno anche dall’India”.

Avendo sentito molte storie su come sia facile la gravidanza e la riproduzione surrogata, sono in India per indagare sull’industria locale dell’utero in affitto.

Una madre surrogata in posa nella clinica Surrogacy Centre India di New Delhi  Foto: Sajjad Hussain/AFP/Getty Images

Come femminista che combatte gli abusi sessuali sulle donne, in particolare il mercato sessuale, mi sento male all’idea di uteri in affitto. Seduta nella clinica, vedendo donne ben vestite che vengono per accedere a servizi riproduttivi, potevo pensare solo a quanto deve essere disperata una donna per avere una gravidanza per denaro. So da altri attivisti contro il traffico di uteri che molte madri surrogate sono costrette da mariti abusatori  o da protettori. Guardando la sorridente receptionist riempire moduli per i futuri genitori committenti, cerco di immaginare il dolore e la sofferenza provati dalla donna che finirà con l’essere considerata nient’altro che un contenitore.

In India la riprovazione è raramente un problema per coloro che commissionano una gravidanza a donne povere e disperate, ma ce n’è molta verso le madri surrogate. Molte scelgono di abbandonare la loro casa durante la gravidanza, dato che non è considerato un modo rispettabile di guadagnare denaro, particolarmente nelle aree rurali.

La maternità surrogata per denaro è illegale in molti paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna. In India invece l’industria, basata su disparità di sesso, razza e classe sociale, non solo è legale, ma anche valutata più di un miliardo di dollari  (690 milioni di sterline) l’anno.

In questa clinica le madri surrogate sono pagate circa 4.500 sterline per affittare il loro utero, una grossa cifra in un paese dove, nel 2012, il guadagno medio mensile era 215 dollari e un quinto della popolazione vive al di sotto del livello di povertà nazionale[i]. Le cliniche possono ricavare fino a 18mila sterline dai genitori committenti. Il costo per portarsi a casa un bambino su commissione dall’India è circa cinque volte meno del costo negli Stati Uniti.

Però mentre le madri surrogate di solito vengono da ambienti poveri, gli ovociti da impiantare sono scelti da donne di non più di 25 anni, di solito con un buon grado di istruzione e controllate per malattie ereditarie.

A tutte le surrogate che passano attraverso queste cliniche viene detto cosa e quando mangiare e bere, e sono monitorate per assicurarsi che prendano i medicinali prescritti e curino l’igiene personale.

Si sta costruendo una “residenza” con denaro donato da diversi medici della fertilità per ospitare fino a 10 surrogate durante la loro gravidanza.

Ho deciso di visitare quattro cliniche nel Gujarat, uno degli stati più religiosi dell’India[ii] – noto come la capitale nazionale delle gravidanze surrogate – facendo finta di essere una donna interessata ad assumere una madre surrogata e una donatrice di ovociti, allo scopo di ottenere l’accesso a chi fornisce questi servizi. Volevo poter parlare per esperienza diretta degli abusi dei diritti umani derivanti da queste pratiche, e diventare maggiormente coinvolta nelle campagne internazionali per abolirle.

Mi è stato detto che è pratica comune impiantare embrioni in due o più surrogate e praticare aborti se più di una gravidanza ha luogo. Analogamente, se più embrioni sono impiantati in una surrogata e ne deriva una gravidanza multipla, i feti indesiderati saranno spesso abortiti.

Approssimativamente 12.000 stranieri vanno in India ogni anno per affittare surrogate, molti dei quali dal Regno Unito.

Madri surrogate si riposano in un centro nella città di Anand. Foto: Mansi Thapliyal/Reuters

“Le mostreremo un catalogo, e lei può scegliere la surrogata”

La seconda clinica che ho visitato è in una tranquilla zona suburbana di Ahmedabad, la città più grande dello stato.

Dopo aver parlato alla ricezione, sono introdotta a una impiegata amministrativa, che prende nota della mia storia clinica. Le dico che voglio accedere ai servizi di donazione di ovociti e di maternità surrogata, e lei mi dice che foro “fanno tutto”. Chiedo se le surrogate vivono in una residenza durante la gravidanza, come ho visto in televisione a casa, e lei scuote la testa. Mi si dice che posso pagare, se voglio che la donna sia alloggiata per nove mesi, “oppure se vuole risparmiare, la sistema per un po’, poi la rimanda a casa”.

In ciascuna delle cliniche che visito, chiedo quanto sono pagate le surrogate. Nessuno mi ha voluto dare una cifra precisa, ma un dottore mi ha detto che le donne guadagnano in nove mesi il corrispettivo di sei anni di lavoro.

Alle 11 di mattina, alla vigilia di Diwali, l’antica festa indù della luce, una clinica è in piena attività. Diverse donne fanno richiesta per diventare surrogate; alcune, apparentemente analfabete,  chiedono alla receptionist di compilare il modulo per loro. Altre, ben vestite, sorridenti, e accompagnate dai loro mariti, stanno aspettando per un appuntamento. Ogni mese almeno 150 donne in attesa di trattamenti di fecondazione in vitro vanno alla clinica.

Mi dicono che la clinica non può fare niente per me. “Per via dei diritti umani il governo sta chiudendo [i servizi di maternità surrogata]. Forse perché i bambini non sono trattati bene”, mi dice uno dei dottori. Non avevo mai sentito prima che bambini nati attraverso la maternità surrogata fossero maltrattati dai genitori committenti., ci sono però stati casi in cui i bambini sono stati abbandonati e lasciati in India con la madre che li aveva partoriti. Nel 2012 una coppia australiana lasciò uno dei gemelli nati da una madre surrogata indiana, sembra perché non si potevano permettere di tirare su due figli[iii].

La mattina dopo ho un appuntamento per un consulto in una terza clinica, con la dottoressa Metha*. Dopo aver riempito diversi moduli, con domande sulla mia storia di infertilità, pago 1.500 rupie ( 15 sterline) per il consulto.  Dico a Metha che la mia amica Lisa, con cui sto viaggiando, è di origine indiana, e disponibile ad essere il genitore committente ufficiale, per darmi poi il bambino. Chiedo informazioni sulla donazione di ovociti, e come posso scegliere la donatrice.

“La donazione di ovociti è da donatrici anonime. Lei ci può fornire le sue preferenza, come altezza e colore dei capelli, ma si deve fidare di noi” dice Metha. “ La donatrice non saprà a chi vengono dati gli ovociti, e lei non saprà di chi sono gli ovociti. Invece incontrerà la madre surrogata. Le mostreremo un catalogo, e lei la può scegliere.”

Tutti e quattro i dottori che incontro mi dicono che per le donne è brutto essere allontanate da casa durante questo periodo, ma sono tutte disponibili a mettersi d’accordo. Per un prezzo.

“Noi possiamo sistemare la cosa se vuole, ma dovrà pagare per questo”, dice Metha. “noi non vogliamo separare la madre surrogata dalla sua famiglia, perché se vive da due a nove mesi in un luogo diverso, in un ambiente diverso, questo influirà negativamente sul suo stato mentale.”

Ho sentito diverse storie di donne forzate o costrette a prestarsi come surrogate da mariti o anche da protettori, e chiedo a Metha se ne sa nulla.

“Senza il consenso del marito [della surrogata] non procediamo. Non diamo tutto il denaro prima del parto. Lo prendiamo da voi, ma lo diamo a lei quando lei le dà il bambino. Glielo diamo a rate, così avrà cura di partorire il bambino senza problemi.”

Metha ha aggiunto che cercano di evitare che le donne formino legami con i bambini dandogli medicine per interrompere la lattazione. “La donna non produrrà latte e non le verrà mostrato il bambino.”

Alcune donne vendono il loro latte, preso con un tiralatte nella clinica, e dato ai genitori committenti. Altre si accordano per essere pagate per nutrire direttamente al seno il bambino, malgrado la possibilità di creare un legame.

La Società Indiana per la Riproduzione Assistita pensa di appellarsi al Governo riguardo alle proposte di cambiamento della legge. “Ci sono milioni di dollari nei cicli di FIV”, dice Rana.

In un’altra clinica nell’Ahmedabad orientale incontro la dottoressa Amin*, in un edificio fatiscente nascosto tra un garage e un negozio di materiale elettrico. L’ufficio è ingombro e privo di finestre. Sulle pareti ci sono foto di neonati e biglietti di ringraziamento dei genitori committenti.

Amin mi porge alcune foto di potenziali madri surrogate, mentre mi spiega le tariffe per la donazione di ovociti – “donatrici caucasiche tra 2.500 e 3.000 sterline, indiane 1.000”.

Le surrogate rimangono a casa durante la gravidanza, e sono controllate quotidianamente. “Non permetto che le donne vivano in una casa per surrogate”, dice Amin. Secondo me il marito è il miglior custode. Viene coinvolto nel programma – sa come prendersi cura della sua donna. Fuori, se è sola farà molte amicizie, e sarebbe difficile per me controllare. Anche se le metto in una residenza, non saprò mai cosa succede lì”.

Chiedo se le donne abbiano mai subito violenze domestiche durante la gravidanza.

“Raramente, ma è successo”, dice Amin. “L’anno scorso ho sentito che il marito di una surrogata la picchiava. È venuta piangendo da noi, così le abbiamo trovato una sistemazione. Dopo che il bambino è nato l’abbiamo rimandata indietro.”

Secondo Amin, le madri surrogate che lei impiega sono di classe media o alta. “Di recente abbiamo impiegato tre ragazze bramine[iv] (una casta elevata), tutte con un buon grado di educazione. Abbiamo circa il 25% di quella classe. Circa l’85% [di tutte le madri surrogate] sono di condizione abbastanza buona”. Io credo che sia una bugia. Ricerche di gruppi di pressione Stop Surrogacy Now mostrano che, a parte rari casi, sono le donne più povere delle caste inferiori che diventano madri surrogate.

Discutiamo dei recenti cambiamenti di politica, e Amin mi parla di una clinica in Hyderabad che ha fatto cinque bambini per una coppia gay da cinque diverse surrogate. In India le coppie omosessuali sono state escluse dai servizi di maternità surrogata fino dal 2013, ma, come mi ha detto un medico:  “A Delhi e altrove si fa ancora, perché non è un’industria regolamentata”.

Mentre lasciamo la clinica, Amin mi indica sulla parete la foto di una donna bianca con un bambino scuro in braccio. “Mi ha chiesto una donatrice indiana”. Domando perché. Forse ha un partner indiano? “No, voleva un bambino con i capelli scuri”, dice Amin, sorridendo mentre prende le mie 1.500 rupie per il consulto e mostrandomi la porta.

* I nomi sono stati cambiati