Si può “affittare gratuitamente” il proprio utero per dare un bambino a una coppia che lo desidera? In Italia non si può fare. Lo stabilisce la sentenza n. 2173 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, depositata il 17 gennaio 2019. Con l’aiuto di un ginecologo e sfruttando una falsa adozione, una donna ha donato il proprio figlio a una coppia, senza transazioni di denaro.
La sentenza ha comunque condannato la madre “surrogata” per il reato di affidamento a terzi di un minore: anche se la donna non ha ricevuto alcun compenso per aver affittato (o prestato) il proprio utero, ha infatti violato l’articolo 71, comma 1, legge 184/1983, che recita così:
Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da uno a tre anni .
La Corte di Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi su una sentenza precedentemente emessa dalla Corte di Appello di Napoli su questo caso di utero in affitto: la donna chiedeva di essere assolta proprio in virtù della gratuità dell’operazione, poiché nel processo di Napoli tutti gli imputati erano stati condannati.
I giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’utero in affitto è illegale anche se non c’è una transazione economica, proprio perché il reato di cui si parla nell’articolo 71 non richiede «per colui che affida il minore, la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso». Inoltre, sempre secondo lo stesso articolo, il fatto che sia stato proprio il genitore naturale a dare via il bambino (e non, per esempio, un tutore legale), costituisce un'aggravante del reato.
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