Torniamo a parlare di dichiarazione anticipata di trattamento, fine vita e testamento biologico. In questo articolo avevamo parlato di tutte le criticità della legge italiana. Adesso affrontiamo alcuni aspetti più dal punto di vista giuridico anche grazie al supporto della professoressa Razzano dell'Università "La Sapienza" di Roma. Quali altre criticità ci sono nella legge sul fine vita in Italia? Eccole.
In primo luogo, fra le criticità della legge vi è quella per cui il medico può disattendere le Dat in alcuni casi ma in accordo col fiduciario e, in caso di disaccordo, la decisione è del giudice tutelare. Lo stesso accade quanto non ci sono Dat e vi è conflitto tra medico e amministratore di sostegno o rappresentanti, fiduciari, ecc. Il che lascia presagire che il medico attuerà poi, come mero esecutore, il provvedimento di un giudice, qualunque ne sia il contenuto (cfr. art. 4 comma 5, che richiama art. 3, comma 5). Qui più che altrove si radica il problema dell'assenza di previsione di obiezione di coscienza. E qui vi è il contrasto con l'art. 32 della Costituzione sul diritto alla salute, perché sarà un soggetto privo di competenze cliniche (il giudice) a decidere in ultima analisi sulla sorte dei pazienti e dei pazienti minori.
In secondo luogo, a proposito della sedazione palliativa, il documento che merita considerazione più di ogni altro è quello recente e molto accorto del Comitato Nazionale per la Bioetica (d'ora in poi CNB), sulla differenza fra la sedazione palliativa profonda continua fino alla morte e la sedazione palliativa profonda continua nell'imminenza della morte. La prima, sul modello francese, può essere eutanasia, la seconda invece, ad alcune condizioni, è parte della terapia del dolore ed è già oggi un diritto rientrante fra le cure palliative sancite dalla legge 38/2010. Il testo italiano è ambiguo perché non recepisce le condizioni chiarite dal CNB, che legittimano eticamente tale tipo di sedazione. Inoltre obbliga il medico a praticare sedazione palliativa profonda continua quando il paziente è sì in fin di vita e con sofferenze refrattarie, ma a motivo del rifiuto della nutrizione e non per l’evoluzione della malattia.
In terzo luogo occorre stigmatizzare l'assenza di una disciplina unitaria e dettagliata, a motivo dell'uguaglianza che dovrebbe essere assicurata su tutto il territorio nazionale e della delicatezza della materia, riguardante l’autenticità della provenienza e la reperibilità delle Dat attraverso un registro nazionale delle stesse. Il testo si limita a rinviare all'esistente (registri comunali, registri regionali, ove esistenti, siano o no elettronici, e dunque foglietti, cartelle cliniche cartacee o elettroniche a seconda di dove si abiti). Si tratta di un aspetto critico di carattere costituzionale, posto che la Corte costituzionale si è espressa con una sentenza recente (la 262 del 2016) richiedendo appunto una disciplina ad opera del legislatore statale, dettagliata e uniforme per tutte le regioni, i comuni ecc.
In quarto luogo, occorre meglio rimarcare che il testo, nel prevedere che il medico è esente da responsabilità civile e penale (art. 1 comma 6 del testo) nel momento in cui esegue la volontà del paziente di rifiutare il trattamento (che, ricordiamo, potrebbe anche essere la nutrizione e idratazione, qualificati "trattamenti") introduce una evidente deroga ai reati di aiuto al suicidio e omicidio del consenziente, in contrasto non solo col codice di deontologia medico (cfr. in part. art. 17) e con lo stesso art. 1, comma 1, del testo di legge, ma soprattutto con la Costituzione e con i Trattati internazionali in materia.
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