di Andrea Tornielli, Il Giornale, 4 Dicembre 2006
«Il celibato è una consuetudine antichissima, che è diventata legge già nei primi secoli e che il Concilio Vaticano II ha stabilito di mantenere».
Il cardinale Julián Herranz Casado, presidente del Pontificio consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, spiega i motivi che hanno spinto la Chiesa a non mutare la legge del celibato per i preti.
Eminenza, il divieto per i sacerdoti di sposarsi non è un dogma di fede. Perché allora rimane come legge?
«Il sacerdozio non richiede, per sua natura, che chi lo riceve sia celibe. Ma il Concilio, nel decreto “Presbyterorum ordinis” ha ribadito la “convenienza” del celibato per diversi motivi».
Quali sono?
«Innanzitutto l'imitazione di Cristo da parte del sacerdote, e questo è il motivo teologico.
Poi c'è il motivo ecclesiologico: il celibato significa la piena dedizione alla Chiesa sposa di Cristo, il sacerdote dona tutta la sua esistenza e tutta la ricchezza dei suoi sentimenti.
C'è infine una terza ragione, escatologica: chi vive il celibato lo fa per il regno dei cieli, per rendere testimonianza alla vita futura».
Da quando esiste questa legge per i preti?
«Vorrei ricordare che il celibato è liberamente scelto non soltanto dai sacerdoti, dai religiosi e dalle religiose, ma anche da tanti laici che collaborano alla missione della Chiesa donando la loro vita. Già il Concilio di Elvira, nel 306, lo raccomanda per i sacerdoti. Si tratta dunque di una consuetudine molto antica, che la Chiesa ha riconosciuto e istituzionalizzato».
Il celibato non è, in fondo, una negazione di umanità?
«Nient'affatto. Io, prima di diventare prete, sono stato psichiatra. Lo stesso Freud, pur con la sua visione pansessualista, era però così intelligente da pensare che vi sono uomini e donne che sublimano l'istinto sessuale, trasformando l'eros in agape: è il contenuto dell'enciclica di Papa Benedetto XVI.
Non è una negazione dell'umanità, ma una manifestazione dell'amore pieno. Il prete non si isola, al contrario: si stacca da alcune cose terrene per essere più disponibile, per donare tutta la sua vita. Chi sceglie il celibato lo fa per poter diventare padre in senso spirituale di tutti coloro che aiuta a scoprire l'amore di Gesù».
Oggi si parla di abolire il celibato per far fronte alla crisi delle vocazioni...
«Non si risolve così il problema. Basta vedere che cosa è accaduto ai nostri fratelli separati delle comunità protestanti.
Non sono aumentate le vocazioni perché il pastore può prendere moglie».
Ma gli ortodossi non lo fanno?
«Il celibato è stimato anche dalle Chiese orientali e ortodosse. Gli ortodossi ammettono al sacerdozio uomini sposati ma non permettono che un prete, dopo l'ordinazione, possa sposarsi».
Non essendo un dogma, però, il celibato si può discutere.
«Si è discusso e ridiscusso. Sempre però si è arrivati alla conclusione di mantenerlo».
Il cardinale Julián Herranz Casado, presidente del Pontificio consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi, spiega i motivi che hanno spinto la Chiesa a non mutare la legge del celibato per i preti.
Eminenza, il divieto per i sacerdoti di sposarsi non è un dogma di fede. Perché allora rimane come legge?
«Il sacerdozio non richiede, per sua natura, che chi lo riceve sia celibe. Ma il Concilio, nel decreto “Presbyterorum ordinis” ha ribadito la “convenienza” del celibato per diversi motivi».
Quali sono?
«Innanzitutto l'imitazione di Cristo da parte del sacerdote, e questo è il motivo teologico.
Poi c'è il motivo ecclesiologico: il celibato significa la piena dedizione alla Chiesa sposa di Cristo, il sacerdote dona tutta la sua esistenza e tutta la ricchezza dei suoi sentimenti.
C'è infine una terza ragione, escatologica: chi vive il celibato lo fa per il regno dei cieli, per rendere testimonianza alla vita futura».
Da quando esiste questa legge per i preti?
«Vorrei ricordare che il celibato è liberamente scelto non soltanto dai sacerdoti, dai religiosi e dalle religiose, ma anche da tanti laici che collaborano alla missione della Chiesa donando la loro vita. Già il Concilio di Elvira, nel 306, lo raccomanda per i sacerdoti. Si tratta dunque di una consuetudine molto antica, che la Chiesa ha riconosciuto e istituzionalizzato».
Il celibato non è, in fondo, una negazione di umanità?
«Nient'affatto. Io, prima di diventare prete, sono stato psichiatra. Lo stesso Freud, pur con la sua visione pansessualista, era però così intelligente da pensare che vi sono uomini e donne che sublimano l'istinto sessuale, trasformando l'eros in agape: è il contenuto dell'enciclica di Papa Benedetto XVI.
Non è una negazione dell'umanità, ma una manifestazione dell'amore pieno. Il prete non si isola, al contrario: si stacca da alcune cose terrene per essere più disponibile, per donare tutta la sua vita. Chi sceglie il celibato lo fa per poter diventare padre in senso spirituale di tutti coloro che aiuta a scoprire l'amore di Gesù».
Oggi si parla di abolire il celibato per far fronte alla crisi delle vocazioni...
«Non si risolve così il problema. Basta vedere che cosa è accaduto ai nostri fratelli separati delle comunità protestanti.
Non sono aumentate le vocazioni perché il pastore può prendere moglie».
Ma gli ortodossi non lo fanno?
«Il celibato è stimato anche dalle Chiese orientali e ortodosse. Gli ortodossi ammettono al sacerdozio uomini sposati ma non permettono che un prete, dopo l'ordinazione, possa sposarsi».
Non essendo un dogma, però, il celibato si può discutere.
«Si è discusso e ridiscusso. Sempre però si è arrivati alla conclusione di mantenerlo».
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