I trapianti di organi e di tessuti sono delle pratiche mediche in grado di ristabilire la salute o salvare la vita di una persona sostituendo la parte del corpo non più adeguatamente funzionante con quella di un donatore compatibile. Si possono suddividere in autotrapianti, trapianti da donatore umano, e trapianti da animale ad umano (per esempio di una valvola cardiaca di maiale). Anche se questo tipo di operazioni non sorprendono particolarmente l’uomo contemporaneo, si tratta di procedure molto recenti, impensabili fino a meno di un secolo fa. Ad esempio, il primo trapianto di rene risale al 1950 (cliccare qui per una timeline approfondita).
Il trapianto d’organi solleva però anche un gran numero di questioni etiche. In questo articolo ne esploreremo alcune, considerando vari pareri a riguardo, tra cui le posizioni della Chiesa cattolica.
Vendita di organi
Vari paesi permettono di donare un organo in cambio di un compenso monetario. L’Iran, ad esempio, ha un mercato legale di reni dal 1988. Negli Stati Uniti, invece, la compravendita di organi è stata esplicitamente resa illegale dal National Organ Transplant Act del 1984, che tuttavia permetteva alcune forme di pagamento per plasma e gameti. Anche in Italia la donazione di organi è legale solo in forma altruistica, cioè senza compenso monetario. Anche nei paesi dove tale commercio non è legale esistono però dei mercati neri di organi.
L’idea di legalizzare e regolamentare la vendita di alcuni tipi di organo è molto discussa: ad esempio in questo articolo apparso sulla rivista The Economist, l’idea viene difesa osservando che l’Iran ha così potuto eliminare completamente la lista d’attesa per i trapianti di rene; d’altro canto c’è la preoccupazione che questa pratica potrebbe facilitare terribili forme di sfruttamento: ad esempio è stato osservato che in alcuni villaggi pakistani circa metà degli abitanti hanno venduto un rene, spesso a persone più abbienti di altri paesi.
In generale, il fenomeno è diffuso soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Come ha commentato il dottor Luc Noel, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: «in troppe comunità del mondo i ricchi predano i poveri».
Esiste inoltre uno studio che ha indagato il fenomeno della vendita di organi in India, nel quale la maggior parte degli intervistati ha dichiarato che vendersi un rene sia stato un errore.
Presunzione di consenso e “donazioni” forzate
Un’altra questione sulla quale paesi diversi hanno assunto politiche (molto) diverse tra loro è quella del consenso per l’espianto degli organi da una persona morta. Alcuni paesi richiedono un consenso esplicito (sistema “opt in”) espresso dal donatore quando era ancora in vita o, in mancanza di esso, il consenso da parte dei familiari. In altri paesi vige una norma di “silenzio-assenso” (Sistema “opt out”), per la quale il consenso alla donazione viene presunto a meno che la persona avesse lasciato disposizioni in senso contrario.
Tra questi paesi troviamo Spagna, Belgio, Francia e Austria. In Italia non c’è alcuna presunzione di consenso: una legge del 1999 in realtà avrebbe introdotto un sistema opt out, stabilendo però che lo Stato chiedesse a tutti i cittadini maggiorenni un'esplicita dichiarazione tramite una lettera di richiesta che avrebbe dovuto essere notificata come un atto giudiziario per essere sicuri che tutti la ricevessero; poi ci si è accorti che tale procedura sarebbe stata troppo costosa e complicata, e quindi non è mai entrata in vigore. Oggi però si può indicare la volontà di donare gli organi al rinnovo della carta di identità. Questa informazione viene stampata nella carta di identità stessa.
I due sistemi sono difesi con varie argomentazioni. Chi difende il sistema di silenzio-assenso spesso sostiene che tale sistema aumenterebbe la quantità di donazioni e permetterebbe quindi di salvare la vita a più persone: ad esempio il Regno Unito adotterà la presunzione di consenso a partire dal 2020, e la parlamentare Jackie Doyle-Price si dice convinta che «facendo questi cambiamenti possiamo salvare fino a 700 vite in più ogni anno».
In realtà, il fatto stesso che tale sistema aumenti il numero di donazioni è controverso ( vedere ad esempio qui e qui), anche se a favore viene citato spesso l’esempio della Spagna, che è la prima nazione in Europa per donazioni e trapianti. Esiste inoltre uno studio del 2014 che, confrontando dati da 48 paesi lungo un arco di tempo di tredici anni ha trovato che nei paesi a sistema opt out vi è un più alto numero di donazioni da cadavere, anche se vi è invece un numero più basso di donazioni da donatore vivo.
Veniamo ora ad alcune argomentazioni a favore del sistema opt in. Questo articolo del 2011 ne raccoglie di vari tipi. Le principali linee argomentative hanno a che fare con i possibili effetti psicologici del rivale sistema opt out: ad esempio alcuni medici ritengono che tale sistema potrebbe intaccare il rapporto di fiducia tra medici curanti e familiari del paziente. Ma vi sono anche considerazioni di carattere pratico, come la preoccupazione che qualunque sistema per informare tutti i cittadini della necessità di segnalare esplicitamente il loro dissenso qualora non volessero donare organi dopo la morte risulterebbe troppo complicato e costoso, come è avvenuto in Italia. Vi è inoltre la preoccupazione che, mentre un sistema di silenzio-assenso “morbido” (nel quale cioè i familiari del neo-deceduto vengono comunque consultati e hanno la possibilità di negare il consenso) non sarebbe eticamente biasimevole, al contrario un sistema di silenzio-assenso “duro” (hard opt out) potrebbe essere addirittura in contraddizione con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Infine, parlando di consenso alla donazione, bisogna riconoscere che in alcuni paesi avvengono frequentemente degli evidenti abusi, che potremmo definire “donazioni” forzate. Nel 2006 il vice ministro della sanità cinese ha riconosciuto che la maggior parte degli organi usati per i trapianti in Cina provengono da condannati a morte, nonostante già nel 1987 l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia condannato la pratica di accettare donazioni di organi da parte di condannati a morte in quanto la validità del loro consenso è a dir poco dubbia.
“Dead donor rule” e morte encefalica
Mentre è possibile donare da vivi un rene o parte del fegato, è chiaro che l’espianto del cuore causerebbe la morte di un donatore vivo. A livello internazionale, l’espianto di organi vitali è permesso solo da pazienti morti; è la cosiddetta “dead donor rule”, che gode di un’approvazione sostanzialmente unanime da parte dei bioeticisti, anche se recentemente si sono sollevate alcune voci contrarie: per esempio Robert Truog, professore di etica medica alla Harvard Medical School ritiene lecito l’espianto degli organi da pazienti moribondi, purché questi abbiano manifestato il loro consenso. Il bioeticista Walter Glannon va oltre e sostiene che: «ci possono essere casi in cui è ammissibile l’espianto degli organi da pazienti che non sono né permanentemente incoscienti né imminentemente morenti».
Anche ammettendo la dead donor rule, resta la questione di come stabilire con certezza che la morte del paziente è avvenuta. Si tratta di una questione sia scientifica che filosofica. I due criteri con cui può venire stabilita legalmente la morte di una persona sono la morte encefalica e la morte circolatoria: la prima consiste nella totale cessazione dell’attività dell’encefalo (o anche solo di alcune parti di esso, a seconda dei paesi), la seconda consiste nell’assenza di circolazione sanguigna per un tempo sufficiente. Paesi diversi adottano criteri e metodi diversi per stabilire queste due condizioni.
La maggior parte delle donazioni di organi da cadavere avvengono da pazienti cerebralmente morti: infatti, se passano un certo tempo senza ricevere ossigenazione, gli organi non sono più in grado di svolgere le loro funzioni; per questo nel caso dei pazienti cerebralmente morti vengono mantenuti artificialmente l’ossigenazione e l’afflusso di sangue agli organi fino all’espianto.
La morte encefalica è stata proposta per la prima volta come criterio legale per stabilire la morte di una persona da una commissione dell’Università di Harvard nel 1968. Da allora si è affermato ed ha goduto di una accettazione sostanzialmente unanime da parte della comunità medica. Tuttavia, vi sono un piccolo numero di esperti che si dichiarano contrari e ritengono che ci sia almeno il dubbio, se non la prova, che i pazienti encefalicamente morti debbano in realtà ritenersi vivi. L’esempio più noto è Alan Shewmon, professore emerito della Università della California a Los Angeles. Un tempo Shewmon sosteneva il criterio della morte encefalica, ma a partire dagli anni novanta si è convinto che, al contrario, i pazienti encefalicamente morti presentino segni di vita ed integrità tali da dimostrare che essi sono degli organismi viventi a tutti gli effetti. Per chi volesse approfondire le posizioni di Shewmon al seguente link è possibile trovare una recentissima intervista: https://www.youtube.com/watch?v=03i7E2uPYpg .
La posizione della Chiesa cattolica sul trapianto di organi
La posizione della Chiesa cattolica in tema di trapianti di organi è riassunta nel paragrafo 2296 del Catechismo, che afferma:
«Il trapianto di organi è conforme alla legge morale se i danni e i rischi fisici e psichici in cui incorre il donatore sono proporzionati al bene che si cerca per il destinatario. La donazione di organi dopo la morte è un atto nobile e meritorio ed è da incoraggiare come manifestazione di generosa solidarietà. Non è moralmente accettabile se il donatore o i suoi aventi diritto non vi hanno dato il loro esplicito consenso. È inoltre moralmente inammissibile provocare direttamente la mutilazione invalidante o la morte di un essere umano, sia pure per ritardare il decesso di altre persone».
Troviamo dunque un’approvazione e perfino un elogio della pratica, purché siano rispettate varie condizioni; in particolare viene affermata la necessità di un consenso esplicito e l’impossibilità di compiere espianti letali o invalidanti da un donatore vivo.
Bisogna notare comunque che la posizione espressa nel Catechismo non è sempre stata pacificamente accettata da tutti i teologi: negli anni ’50, quando iniziavano a vedersi i primi casi di trapianto di organi, alcuni teologi ritenevano che ogni donazione compiuta da una persona viva sarebbe stata una inaccettabile mancanza di rispetto della sua integrità fisica, ma questa opinione scomparve dopo che il papa Pio XII abbracciò una posizione favorevole ai trapianti sotto certe condizioni.
Per quanto riguarda l‘idea di un commercio legale di organi, essa è stata condannata da papa Giovanni Paolo II durante il discorso pronunciato in occasione del diciottesimo congresso internazionale della Società dei Trapianti, insistendo che:
«Ogni prassi tendente a commercializzare gli organi umani o a considerarli come unità di scambio o di vendita, risulta moralmente inaccettabile, poiché, attraverso un utilizzo "oggettuale" del corpo, viola la stessa dignità della persona».
Per quanto riguarda il criterio di morte encefalica, esiste un articolo di John M. Haas, pubblicato nel gennaio 2011 che raccoglie alcuni commenti e pronunciamenti da parte di varie autorità della Chiesa cattolica. Haas ricorda che in tre occasioni, nel 1985, 1989, e 2008, la Pontificia accademia delle scienze ha dato un parere positivo circa la validità del criterio di morte encefalica. Inoltre, nel già citato discorso di Giovanni Paolo II del 29 agosto 2000 durante il congresso internazionale della Società dei Trapianti, il Pontefice affermò: «[S]i può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica». Si noti che il Papa parlò di cessazione totale dell’attività encefalica, mentre alcuni criteri proposti o realmente impiegati in alcuni paesi richiederebbero la morte anche solo di alcune specifiche parti del cervello.
Esiste infine una lettera scritta dal cardinale Elio Sgreccia, in risposta alla domanda di un medico americano riguardo ad alcuni dubbi di una sua paziente cattolica, nella quale il porporato scriveva: «Il pensiero della Chiesa continua ad essere quello espresso dal Santo Padre nel discorso del 29 agosto 2000».
L’argomentazione a favore del criterio di morte encefalica che viene utilizzata all’interno del mondo cattolico è che l’encefalo sembra coordinare, e quindi dare il tipo di unità caratteristico di un organismo, a tutte le altre parti del corpo. Il corpo di una persona encefalicamente morta, dunque, pur continuando a presentare alcuni processi tipici della vita, sarebbe un complesso di organi e tessuti uniti solo in maniera accidentale.
La questione della morte encefalica e del trapianto di organi
Nonostante questo, nel mondo cattolico esistono un piccolo numero di filosofi e medici fortemente convinti che anche i pazienti encefalicamente morti presentino degli autentici segni di vita e dimostrino di avere quel tipo di unità caratteristica di un organismo. Tra questi troviamo il già citato Alan Shewmon, Robert Spaemann e Christian Brugger.
Uno dei motivi di questa posizione è il caso, divenuto noto solo in tempi relativamente recenti, di un paziente (indicato con la sigla “TK”) che fu dichiarato encefalicamente morto nei primi anni ’80 a seguito di una meningite, ma che continuò a dare apparenti segni di vita per altri venti anni, fino alla inequivocabile morte, seguita da autopsia, avvenuta nel 2006. Qui si può trovare una pubblicazione scientifica contenente dati raccolti nell’autopsia (attenzione, immagini forti).
Al seguente link un contributo del frate domenicano Nicanor Austriaco, che ha elaborato un'analisi filosofica del caso TK.
Viceversa, altri autori cattolici hanno recentemente dedicato varie pubblicazioni a difendere la validità del criterio di morte encefalica; alcuni esempi sono Melissa Moschella, docente di etica medica alla Columbia University, e Jason Eberl, professore alla Saint Louis University.
Gli ultimi anni hanno visto dunque alcuni dibattiti all’interno del mondo cattolico circa il criterio di morte cerebrale. Alla Catholic University of America, nel mese di giugno 2014, si è tenuto un simposio a riguardo, che ha visto posizioni diverse difese dai vari relatori. Più recentemente la Dominican School of Philosophy and Theology ha ospitato durante una sua conferenza un confronto tra David Oderber (di cui abbiamo già parlato in questo articolo) e Padre Michael Sherwin: https://www.youtube.com/watch?v=9j4B6-XzirU .
Abbiamo visto dunque come la donazione di organi ponga diversi dilemmi etici, la cui discussione coinvolge sia questioni empiriche che filosofiche. Tali questioni sono naturalmente della massima importanza, in quanto profondamente legate alla tutela della salute e della vita delle persone; tuttavia, la complessità scientifica e filosofica di questi argomenti fa si che su alcuni punti non sia ancora presente un vero e proprio consenso, e questo a sua volta spiega come paesi diversi abbiano adottato politiche notevolmente diverse tra di loro per quanto riguarda queste pratiche.
Per chi volesse approfondire ulteriormente l'argomento, consigliamo la lettura del libro The Ethics of Organ Transplantation
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