Il metodo con cui era stata analizzata la Sindone e che ne avrebbe provato la sua falsità non era affidabile. Un’affermazione che è emersa nel contesto di un recente incontro internazionale di studiosi della Sindone. Abbiamo già parlato delle teorie sulla sua autenticità e delle corrispondenze tra il lenzuolo che si trova a Torino e quanto raccontato nei Vangeli. Con questa smentita, invece, viene minato l’argomento della falsità della reliquia e della sua fabbricazione in epoca medievale.
Riportiamo un articolo di Andrea Tornielli, pubblicato su La Stampa, che cita la posizione a riguardo di uno studioso italiano.
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A trent’anni dalla datazione della Sindone con la tecnica del radiocarbonio (i cui risultati apparvero nel 1989 in un resoconto su Nature), emergono nuovi dubbi sull’affidabilità di quel risultato, secondo il quale il lenzuolo che porta impressa l’immagine del corpo di un uomo flagellato e crocifisso come Gesù sarebbe in realtà un tessuto risalente all’epoca medioevale.
Se n’è parlato all’incontro annuale del comitato scientifico del Centro Internazionale di Sindonologia, il 5 e il 6 maggio a Chambéry, in Savoia, con medici, fisici, chimici, storici e biologi internazionali. Tra questi Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca dell’Enea di Frascati, che nel suo intervento ha ricordato come «il calcolo che trasforma il numero di atomi C-14 nell’età di un tessuto» presenti «maggiori incertezze rispetto ad altri campioni solidi (ossa, manufatti, etc.) a causa della maggiore permeabilità del campione tessile agli agenti esterni (digestione batterica, muffe, sporcizia)».
Non è un caso, spiega di Lazzaro, che Beta Analytic, una delle ditte più rinomate per la datazione C-14, sia oggi prudente riguardo l’affidabilità della datazione dei tessuti con questa tecnica, «riconoscendo che i campioni tessili necessitano di maggiori precauzioni rispetto agli altri materiali». In particolare, Beta Analytic dichiara che «la datazione di tessuti si effettua solo nell’ambito di una ricerca multidisciplinare», e che «i campioni prelevati da un tessuto trattato con additivi o conservanti generano un’età radiocarbonica falsa». La Sindone in passato è stata in contatto con materiali conservanti e anti-tarma, che potrebbero dunque aver falsato la datazione.
Lo scienziato dell’Enea contesta anche la determinazione con la quale a suo tempo, dalle colonne della rivista Nature, i tre laboratori coinvolti nella datazione presentarono la loro ricerca come «prova definitiva»: parole inusuali per un articolo scientifico, dato che «nei secoli, la scienza è progredita mettendo in discussione i risultati acquisiti in precedenza».
Gli interrogativi aumentano, spiega Di Lazzaro, anche perché i tre laboratori che eseguirono la datazione 30 anni fa «si sono sempre rifiutati di fornire l’esatta distribuzione dei dati grezzi. Si tratta dell’unico caso a mia conoscenza in cui gli autori di un articolo si rifiutano di fornire i dati che possono permettere ad altri scienziati di ripetere il calcolo e verificare se è stato fatto correttamente».
Entra qui in gioco una seconda significativa ricerca, quella di Marco Riani, statistico e professore di Tecniche di ricerca ed elaborazione dati all’Università di Parma. Analizzando i dati pubblicati su Nature aveva scoperto un’età che in modo anomalo «aumenta costantemente a mano a mano che ci si sposta da un pezzettino all’altro adiacente», un fatto che «suggerisce la presenza di una contaminazione che può aver falsato i risultati».
Riani aveva inoltre scoperto che l’analisi statistica «fornisce risultati coerenti solo distribuendo i dati su tre dei quattro lembi consegnati ai laboratori per le misure». Questo significa che solo tre lembi di lino furono datati nel 1988, e uno dei due lembi consegnati al laboratorio di Tucson non venne in realtà mai datato. «Di conseguenza – spiega di Lazzaro – scopriamo che sull’articolo di Nature è dichiarato il falso: non è vero che tutti i lembi sono stati datati».
La ricerca di Riani ha costretto nel dicembre 2010 il professor Timothy Jull, responsabile del laboratorio di Tucson, a mostrare per la prima volta la foto di uno dei due lembi di Sindone ricevuti dal suo laboratorio 22 anni prima, e mai usato.
«Questo fatto da solo – conclude Di Lazzaro – dimostra più di mille parole la mancanza di trasparenza e la scarsa deontologia professionale» con cui venne eseguita la datazione. La Sindone di Torino, quell’immagine che nessuno è ancora riuscito a riprodurre, rimane dunque un mistero.