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Nell’episodio 80 del podcast “Chiedilo a Barbero”, il professore ha risposto a una domanda circa l’autenticità della Sindone affermando che questa reliquia “è certissimo che è una cosa che è saltata fuori all’improvviso nel quattordicesimo secolo [...], quando i canonici di una chiesetta sperduta in Francia iniziano a mostrare questa cosa. Il vescovo locale, immediatamente, dice: Fate sparire questo falso, perché non bisogna prendere in giro la gente. Invece la gente ama essere presa in giro [...]. Però la scienza è un’altra cosa”.
Noi ne abbiamo già parlato qui e qui, ma approfittiamo della frase del prof. Barbero per ricostruire la storia della Sindone dai primi anni dopo Cristo fino al Medioevo, ripercorrendo le tappe geografiche e le citazioni di tutti i riferimenti al famoso telo. Dato che, nonostante l’enorme stima per il professore torinese, non si può affermare che sia apparsa misteriosamente e improvvisamente nel 1400 in uno sperduto paesino francese. Ecco quindi la storia della Sindone e la ricostruzione dei suoi spostamenti dal VI secolo dopo Cristo al 1400.
Prove scientifiche sulla Sindone di Torino: studi sulla datazione, una premessa
Oltre all’importante approccio storiografico, sono decine gli studi chimici/fisici sulla Sindone di Torino. Per esempio, uno studio del 2022 conferma che la Sindone ha 2000 anni, tramite una ricerca effettuata con la tecnica di raggi X ad ampio angolo (WAXS), che misura l’invecchiamento naturale della cellulosa di lino, traducendolo in tempo trascorso dalla produzione. Altri confermano che nella Sindone sono stati trovati pollini compatibili con il Medio Oriente. Altri ancora che il tipo di intreccio del tessuto era usato solo in quella zona e in quegli anni, ecc.
La Sindone di Torino: il contesto storico e le prime tracce
Dal 30 al 524 non c’è alcuna attestazione della presenza della Sindone. Bisogna considerare anche che per le norme di purità ebraiche, e i primi cristiani sono giudei, i lini sepolcrali sono impuri e non possono essere detenuti e men che mai esposti.
Oltretutto, come la croce, è simbolo di una morte violenta e vergognosa. I cristiani se ne vergognano fino al V/VI secolo, quando la croce comincia ad essere simbolo cristiano: prima c'erano il pesce, l'ancora, la barca e l'anagramma XP (in lettere greche; CR in lettere latine) che stava per Cristòs, Cristus, Cristo. Tutti modi attestati di riferirsi a Cristo nell’arte e nelle chiese o catacombe senza dover mostrare i segni dell’ignominia come la croce o il suo volto insanguinato.
Il telo nel 525 d.C: il ritrovamento della Sindone nel 525 d.C. a Edessa
Nel 525 la Chiesa di Santa Sofia in Edessa viene restaurata e si ritrova, aprendo una nicchia murata, l'immagine di un volto di Cristo su tela definito dai contemporanei "non fatto da mano umana: acheropita". Il telo, definito popolarmente il Fazzoletto (il Mandylion), viene esposto incorniciato ed è oggetto di venerazione.
In questi anni nasce l'iconografia bizantina del Santo Volto. I tratti di queste icone sono assai simili a quelli del Volto del Mandylion: secondo studi effettuati recentemente su opere da quel periodo all'XI secolo, vi sono oltre 100 punti di convergenza, assai più di quanto si richieda in tribunale per stabilire che si tratta della stessa persona.
Le prime raffigurazioni di Gesù e il ruolo della Sindone
Agli albori del Cristianesimo, i ritratti di Gesù, persona di cui nessuno storicamente potrebbe negare l’esistenza, sono ancora molto pochi a causa del divieto biblico di immagini. Nell'anno 200 circa, Clemente Alessandrino, facendo una lista dei simboli cristiani, cita il pesce, la colomba, la barca, ma non la croce né i ritratti di Gesù.
Secondo Gregorio di Tours, nel 560, a Narbonne, mostrare una croce con il corpo del crocifisso causava un grande scandalo. Il crocifisso si diffuse realmente solo nel VII secolo. E solo nel XIII secolo, il secolo di S. Ludovico e di Bianca di Castiglia, si cominciano a trovare immagini della Passione, del Cristo sofferente.
Un po' alla volta, tuttavia, ci si abitua a mostrare il volto di Gesù. Fino al VI secolo, però, i ritratti di Gesù differiscono molto l'uno dall'altro. Talvolta porta una barba, ma molto spesso lo si presenta senza, con capelli corti, come erano gli imperatori romani o come si raffigurava il dio Apollo. Il Buon Pastore dell'ipogeo degli Aureliani (III secolo) o il ritratto delle catacombe di Commodilla (IV secolo), entrambi a Roma, sono molto diversi dalla presentazione del volto di Gesù che è abituale attualmente.
Come la Sindone ha influenzato i ritratti di Gesù dal VI secolo
A partire dal VI secolo, sembra che questi ritratti siano fatti secondo un unico modello. Egli ha una barba, che ha due punte, i suoi capelli sono lunghi e divisi in due parti da una scriminatura centrale, un ciuffo di capelli sulla fronte, e spesso un sopracciglio più alto dell'altro ed un solco attraversa la fronte ed un altro la gola.
Sembra quindi che da quei tempi esistesse un prototipo, un modello. Ma affinchè questo modello potesse imporsi così, fu necessario che lo si considerasse come un qualcosa di molto più autentico di tutti gli altri.
Proprio il VI secolo coincide con una nuova riscoperta, nel 525 D.C, della "immagine miracolosa di Edessa". Quindi questa potrebbe essere il modello dei ritratti di Gesù fatti in quell'epoca.
Non è un caso se in tutta la cristianità, improvvisamente, tutto cambia a livello di raffigurazione. A partire dal VI secolo, sembra che questi ritratti siano fatti secondo un unico modello.
Un altro documento afferma che la Sindone fosse conosciuta già in epoca antica, è l'umbella di papa Giovanni VII (papa dal 705 al 707), una sorta di baldacchino decorato con scene evangeliche disegnate e ricamate. Giacomo Grimaldi, archivista del capitolo di San Pietro e notaio papale, lasciò una descrizione ed un disegno, che risulta essere la descrizione mostra Cristo coricato esattamente nella stessa posizione dell'uomo della Sindone di Torino.
Il viaggio della Sindone a Costantinopoli nel 944 d.C.
Nel 944 l'Impero Bizantino espugna Edessa, che era caduta in mano ai Turchi, e il Mandylion viene portato a Costantinopoli. In questa circostanza si scopre che non si tratta di un fazzoletto, ma di una sindone: ad Edessa, infatti, veniva esposta ripiegata in otto parti, così che rimanesse visibile solo il Volto.
Come già rilevato, sarebbe stato del tutto inopportuno sia per i cristiani che per i musulmani (per i quali Gesù è un importantissimo profeta) esporre l'immagine del corpo di Cristo nudo, ferito e tumefatto.
Il Mandylion e la Sindone sono lo stesso oggetto?
Un prova dell’identità del Mandylion e la Sindone di Torino si trova in una miniatura del Codice Scilitze di Madrid, manoscritto di cronaca bizantina dell'XI secolo, conservato nella Biblioteca Nazionale Spagnola. Questa miniatura mostra l'arrivo del Mandylion a Costantinopoli nel 944, e da quello che si può vedere già all’epoca dell’arrivo a Costantinopoli il Mandylion era noto e si sapeva che fosse più ampio di un fazzoletto: vediamo infatti l’Imperatore baciare il volto di Gesù, collocato sopra un drappo che richiama molto più la sindone che un fazzoletto.
Sembra, pertanto, che intorno all'anno 1000, e forse persino prima, qualcuno aprì il coperchio del sottile scrigno che conteneva il Mandylion, dispiegò il telo e constatò che esso raffigurava un intero corpo e non solo una testa.
La Sindone nell’Impero Bizantino: le prove del 1192-1195
Il Manoscritto Pray (o Codice Pray) della Biblioteca Nazionale di Budapest è un sacramentario latino, con un discorso funebre in ungherese datato negli anni 1192-95. Georgius Pray era un gesuita ungherese del XVIII secolo, che lo aveva trovato nella biblioteca del capitolo benedettino di Pozsony (ai nostri tempi Bratislava, in Slovacchia).
Sul dietro del foglio XXVII si vede una miniatura che consiste di due parti.
La parte superiore illustra l'unzione del corpo di Gesù prima del seppellimento. Si nota che il Cristo è nudo, il che è un caso unico in quell'epoca; in più, le sue mani sono incrociate sul pube, con la destra al di sopra della sinistra, senza i pollici visibili, esattamente come nella Sindone di Torino, quando lo si guarda, dimenticando che essa svolge il ruolo di uno specchio che rovescia l'immagine. Le mani di Gesù hanno solo 4 dita. Il corpo di Cristo viene messo su un telo, che evidentemente lo coprirà e non lo fascerà come una mummia. Come sulla Sindone, i piedi non sono visibili.
La parte inferiore mostra la visita delle sante donne alla tomba. Ma si riconoscono anche i dettagli del tessuto della Sindone; la parte superiore è coperta da trattini ad angolo retto come se imitassero il tessuto della Sindone di Torino. Inoltre vi è un particolare interessante: come nella Sindone vi sono 4 piccoli buchi che formano una sorta di L (:.). Quel gruppo di quattro buchi viene ripetuto 4 volte; si tratta probabilmente della stessa bruciatura fatta sul telo piegato in quattro, forse per un'azione maldestra con un incensiere.
Ciò dimostra che l'autore del Manoscritto Pray vide la Sindone, e la vide aperta. E quel manoscritto è certamente datato al tempo del regno di Béla III, re dal 1148 fino al 1196, marito di Margherita, la figlia di Ludovico VII di Francia.
La Sindone durante la Quarta Crociata del 1204: saccheggi e reliquie
Durante la Quarta Crociata, i cavalieri al comando di Ottone De La Roche, poi nominato governatore e duca di Atene, conquistano Costantinopoli e, sebbene il Papa ne avesse posto anticipatamente il divieto, la depredano di molte immagini sacre.
L'anno successivo, in una lettera a papa Innocenzo IV, Teodoro Angelo Comneno afferma che la Sindone è stata rubata proprio da Ottone de la Roche e che il duca la detiene ad Atene. Non si sa se il pontefice creda alla missiva e intervenga, certo è che la Sindone non ritorna. Nemmeno però è esposta dai De La Roche, perché il furto di reliquie è punito con la morte.
In Francia la Sindone diventa famosa
Geoffrey de Charny nel 1353 possiede nel suo castello entro i propri domini in Lirey, come attestano documenti, la Sindone. Fa voto di darla in custodia ai canonici di Lirey se la Francia vincerà la guerra. Durante la guerra Geoffrey muore, ma sua moglie tiene fede all’impegno: nel 1356 la Sindone viene consegnata ai canonici di Lirey, che iniziano a esporla alla venerazione dei fedeli con frequenza. Diviene celebre.
Dal 1400 in poi la storia della Sindone è nota
Quasi cento anni dopo, nel 1453, l'ultima erede del casato, Margherita di Charny, vedova e in condizioni economiche non floride, dona o vende la Sindone ad Anna di Lusignano, moglie del duca di Savoia Ludovico. Da questo momento, il lenzuolo risiede nel capoluogo del Ducato di Savoia, Chambéry. Viene costruita un'apposita cappella per onorarla e custodirla.
Nel 1578, sei anni dopo che Torino era divenuta capoluogo del Ducato, il duca Emanuele Filiberto "Testa di Ferro" vuole portare a Torino anche la Sindone. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, aveva promesso solennemente di recarsi a piedi a venerare l'immagine della Sindone se la peste fosse cessata in fretta. Così era avvenuto. Il duca ne approfitta e dichiara di voler abbreviare il tragitto dell’arcivescovo. Con quella scusa riesce a portare provvisoriamente il Telo a Torino, che non tornerà mai più a Chambéry.
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