Alessandro Barbero spiega le origini di crociate e jihad

di Redazione, 12 ottobre 2020

Le crociate sono state delle missioni di conquista cristiana? No, in realtà si trattava di pellegrinaggi (armati). In un intervento dal titolo “Benedette guerre”, nel contesto della manifestazione culturale “Le piazze del sapere” (San Giovanni Valdarno, 13 ottobre 2012), il professor Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e volto noto al pubblico della divulgazione storica di SuperQuark, ha approfondito il tema della guerra di religione nel medioevo.

Le crociate nascono come pellegrinaggio

Solitamente le crociate vengono presentate come una serie di missioni militari volte all’espansione e all’arricchimento delle potenze cristiane del medioevo, ovvero il Papa e i governanti cattolici. In realtà, quella che nei libri di storia viene chiamata “prima crociata”, come spiega il professor Barbero, non si chiamava nemmeno crociata e non era altro che un pellegrinaggio armato in Terra Santa.

Ma perché si è passati da un pellegrinaggio pacifico a un pellegrinaggio armato? Da sempre i cristiani si sono recati in pellegrinaggio a Gerusalemme, anche nel periodo della dominazione araba precedente alle crociate: il professor Barbero si riferisce, a titolo di esempio, a un carteggio tra Carlo Magno e Hārūn al-Rashīd, nel quale il califfo di Baghdad “garantisce la sua protezione ai pellegrini cristiani che vanno a Gerusalemme”.

Questo perché nella cultura medievale cristiana i pellegrinaggi erano frequenti, e  quello verso il Santo Sepolcro era infatti il pellegrinaggio più importante. Non era un obbligo come nel caso dei musulmani, per i quali il pellegrinaggio verso La Mecca costituisce uno dei cinque pilastri della loro religione, ma era “qualcosa di enormemente importante”.

Ma perché i cristiani hanno iniziato ad andare in assetto da guerra verso Gerusalemme? Perché con l’arrivo dei Turchi, dall’inizio del decimo secolo l’impero unitario arabo “si spappola” in una galassia di sultanati, emirati e principati spesso in lotta tra loro. I Turchi, convertiti da poco all’islam, sono più bellicosi e meno inclini al dialogo degli arabi.

“Nasce questa idea - spiega Barbero - : siccome andare a Gerusalemme in pellegrinaggio è diventato molto pericoloso, e quelli che comandano a Gerusalemme e nei dintorni, i Turchi, è gente con cui è difficile fare accordi, ci andiamo in tanti, tutti insieme, e ci andiamo armati. Questo è il nucleo della prima crociata, che quindi è un pellegrinaggio”. Tanto che coloro che aderiscono si chiamano pellegrini, e non crociati. Saranno le traduzioni in volgare delle cronache di quegli anni a restituire il termine “crociati”, perché molti pellegrini si facevano cucire la croce sull’abito, venendo identificati come cruce signati.

Perché la prima crociata ha avuto un grande successo?

Il professor Barbero spiega quindi per quale motivo la prima crociata ha avuto un così grande successo. In primo luogo perché è la prima volta che un papa “si rivolge ai principi cristiani e a tutti i cristiani”. In secondo luogo perché l’Europa sta vivendo, all’inizio dell’undicesimo secolo, un grande sviluppo demografico, e “ci sono tanti che anziché dividere con tanti fratelli la piccola signoria - se sono nobili -  o il fazzoletto di terra - se sono contadini”, preferiscono lanciarsi in questa avventura con il pretesto nobile del pellegrinaggio e della salvezza della propria anima. 

La combinazione di “enorme passione religiosa”, da un lato, e mancanza di prospettive per chi non aveva spazio nella propria realtà, dall’altro, fanno in modo che la prima crociata diventi un enorme successo. Come si può vedere, la motivazione economica e di espansione occupa un posto di secondaria importanza nell’analisi delle ragioni di questo pellegrinaggio che nei libri di storia viene definito come “crociata”.

Il professor Barbero sottolinea che questa lettura dei motivi per cui la prima crociata ha avuto successo non è stata condivisa dalla maggior parte degli storici dell’800, che “faticavano a pensare che ci potesse essere una civiltà in cui i giovanotti si fanno ammazzare per la fede. E hanno insistito di più sulle motivazioni concrete”: la guerra di conquista, l’arricchimento, eccetera eccetera.

Per i due secoli successivi alla presa di Gerusalemme “i nostri antenati sanno che, per quelli che proprio non ne possono più e vogliono scappare via, c’è un orizzonte dove andare: quell’oltermare strappato agli infedeli". Con il passare del tempo la crociata diventa una vera e propria istituzione, “perché il Papa a quelli che vanno alla crociata garantisce certi privilegi”: per esempio, la sospensione di un processo e il congelamento dei debiti fino al ritorno in patria.

Il comandamento “Non uccidere” e la guerra santa

Il professor Barbero rileva però che il diffondersi dell’idea che fosse lecito uccidere per arrivare al Santo Sepolcro appare come una “stranezza nella civiltà cristiana: i primi cristiani prendevano talmente sul serio il comandamento non uccidere che molti di loro si sentivano in imbarazzo persino nel fare il servizio militare”. 

Nei primi tre secoli di cristianesimo, continua Barbero “più di un martire è un militare che vuole dimettersi dall’esercito perché si è fatto cristiano. L’idea che la guerra sia una brutta cosa e che un cristiano non deve farla” fa parte della cultura cristiana sin dal suo inizio.

Quando terminano le persecuzioni e il cristianesimo si afferma come religione di Stato, “comincia lo sforzo dei teologi per giustificare la guerra giusta, e per secoli ci sono dei cristiani dei militari che si arrovellano su questa faccenda”, come si vede dalla risposta di sant’Agostino a un ufficiale cristiano in cerca del consiglio di un grande teologo perché non è convinto di poter fare questo mestiere:

Non si può pensare che piaccia a Dio chi presta servizio militare e porta le armi. Ma anche Davide portava le armi e moltissimi altri uomini giusti di quel tempo . [...] Si fa la guerra per raggiungere la pace.

Lo stesso pensiero di sant’Agostino sul tema della guerra e della morale cristiana muta al cambiare dello scenario politico, con le invasioni barbariche:

Cosa c'è da biasimare nella guerra? Uccidere uomini che un giorno dovranno morire? Questo è un biasimo non degno di uomini religiosi. Talvolta è necessario che uomini buoni facciano la guerra contro uomini violenti per comando di Dio o del governo legittimo.

Il professor Barbero sottolinea che fino all’undicesimo secolo tra i cristiani c’è sempre stato lo sforzo di considerare la guerra come un male da evitare tranne in alcuni casi necessari. Tutto cambia quando, all’inizio della prima crociata, “i pellegrini dicono: non è che questi che muoiono vanno all’inferno? Noi vogliamo essere sicuri che chi di noi muore combattendo va in paradiso”. Per non correre il rischio di bloccare l’esercito ormai in marcia, il legato pontificio, rappresentante del Papa durante la crociata, non può non concedere ai pellegrini la certezza del paradiso in caso di morte in combattimento.

Il paradigma del comandamento non uccidere viene così tanto stravolto che, spiega Barbero, “Bernardo di Chiaravalle paragona la situazione di chi uccide in guerra al martirio”:

Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per se stesso, dando la morte vince per Cristo.

La crociata e la jihad dal punto di vista dei musulmani

All’arrivo dei pellegrini in armi, sottolinea il professor Barbero, “i cronisti arabi e turchi reagiscono in un modo molto curioso. Non riescono a immaginarsi che questa marea di infedeli abbiano ragioni religiose. Inventano dell spiegazioni politiche perché l’idea di riconoscere alla controparte una passione religiosa sfugge loro”.

L’arrivo degli invasori suscita un grande fervore religioso tra i musulmani, che a quel tempo erano molto frammentati: “sono le piazze che spingono. La folla scende in piazza per costringere i capi alla guerra santa”. Questo perché, continua Barbero, “nel Corano effettivamente è previsto il caso in cui i fedeli possono o devono combattere per difendere la fede”.

Per i musulmani, quindi, è lecito fare la guerra? In realtà non è così. Tutto dipende dall’interpretazione del Corano, ma, poiché, spiega Barbero “ogni singolo fedele musulmano può seguire un maestro qualunque o farsi lui stesso maestro, l’interpretazione  è totalmente libera, il che è fonte di grande vivacità culturale ma è anche fonte di grandi problemi”.

Il professor Barbero elenca quindi alcuni punti in cui, a seconda dell’interpretazione, è possibile affermare che per i musulmani è giusto fare guerra contro gli infedeli:

È stato dato il permesso di reagire a quelli che vengono attaccati. Essi subiscono violenza e certamente Dio li può soccorrere. Coloro che sono stati scacciati dalle loro dimore senza diritto se non perché dicevano il nostro signore è Dio professano la vera fede, e se sono attaccati o perseguitati possono combattere e Dio li aiuterà. Dio è forte e potente.

Combattete nella via di Dio contro coloro che vi faranno la guerra, però non eccedete, perché Dio non ama coloro che eccedono. Uccideteli quindi, ovunque li troviate e scacciateli da dove essi vi avranno scacciati. Perché la discordia civile è peggiore della morte in guerra. Però non li combattete presso il tempio sacro a meno che loro non vi attacchino in quello e se vi attaccheranno uccideteli, tale è la ricompensa dei miscredenti. Se però essi desistono, certamente Dio è indulgente e compassionevole.

“Vedete che se ne può fare quello che si vuole, - commenta Barbero - e cioè che si può costruire, se si è fanatici, una teoria della necessità della guerra santa, come ci si può costruire una teoria della coesistenza pacifica”.

Il professor Barbero cita inoltre un passo del Corano significativo sulla pluralità di interpretazioni riguardo alla necessità o possibilità di guerra:

Perché non è stata fatta scendere una sura che ordini la guerra? Se fosse stata fatta scendere una sura precisa e fosse stata menzionata in essa la guerra, tu avresti visto coloro i cui cuori sono deboli, guardarti con lo sguardo di chi è in punto di morte.

Anche in questo passo non è affatto chiaro se si parli di doveri o di possibilità. Concludendo il suo intervento, Barbero legge un altro passo del Corano, nel quale si può intendere che l’origine della guerra santa in ambito islamico sia da ritrovarsi proprio nella storia ebraica, e quindi nell’Antico Testamento (comune alle tre religioni monoteiste):

Non hai visto i notabili dei Figli di Israele quando, dopo Mosè, dissero al loro profeta : "Suscita tra noi un re, affinché possiamo combattere sul sentiero di Allah"? Disse: "E se non combatterete quando vi sarà ordinato di farlo?". Dissero: "Come potremmo non combattere sulla via di Allah, quando ci hanno scacciato dalle nostre case, noi e i nostri figli?".

Questo è il settimo degli articoli estratti dal canale non ufficiale di Alessandro Barbero, curato da Fabrizio Mele e disponibile gratuitamente a questo link di Spotify. Nel canale sono raccolti i podcast degli interventi del professore.

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