San Francesco d’Assisi (1181 - 1226) è stato “un uomo straordinario e anche molto scomodo”. Queste le parole del professor Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e volto noto al pubblico della divulgazione storica di SuperQuark, che in un episodio de “Il tempo e la storia” (17/06/2014) ha approfondito la figura del santo d’Assisi.
Francesco, figlio di un mercante e di una nobile, cresciuto leggendo i libri su re Artù e con la fascinazione del mondo cavalleresco francese (il suo stesso nome significa “francese”, e sua madre potrebbe essere stata di quella nazionalità), sin dall’infanzia ha coltivato “l’idea di essere destinato a ben altro”, sognando di diventare un eroe guerriero.
Il professor Barbero rileva che nel duecento il medioevo è ormai in una fase rigogliosa, in cui le classi agiate, delle quali faceva parte la famiglia di Francesco, si arricchiscono sempre di più e anche per questo motivo i contrasti sociali sono sempre più acuti. Questo è il contesto storico e sociale in cui Francesco, dopo una parentesi militare, nella quale sperimenta la sconfitta e la prigionia, decide di lasciare tutto per vivere secondo il Vangelo.
San Francesco come gli hippie?
“Se per gli hippie rifiutare la giacca e la cravatta significava rifiutare il sistema”, spiega Barbero, “anche per san Francesco” c’è un rifiuto di un sistema di valori. È vero che le fonti concordano che “a Roma non l’hanno accolto a braccia aperte", e che “agli occhi di un’organizzazione come la Chiesa l’idea di lasciar fare qualcosa anche a gente così è dura”, considerando che Francesco e i suoi seguaci non sono sacerdoti e non hanno studiato, Barbero sottolinea che l’adesione al Vangelo di san Francesco è un movimento totalmente interno alla Chiesa, non in opposizione ad essa: “Francesco sa che senza il permesso del papa avrebbe fondato un movimento clandestino, e lui quello non lo vuol fare”.
Non era infatti raro che i critici estremi della Chiesa ne uscissero per farsene una propria (come l’eresia dei catari o quella dei valdesi). È evidente che “in questo loro essere cristiani - continua Barbero - ci sia anche un fortissimo bisogno di essere parte della Chiesa”.
La narrazione che disegna san Francesco come un uomo mite e in grande sintonia con il suo tempo, sottolinea Barbero, non trova molto riscontro con la documentazione storica (come nel caso di san Francesco pacifista): “la voglia di rompere con il sistema con i valori, con quello che ti hanno insegnato in casa” è molto forte in san Francesco e nei suoi seguaci, che cercano una possibilità concreta di uscita in un momento di contrasti sociali fortissimi”. L’adesione al Vangelo indicata da san Francesco è il loro modo di rompere gli schemi: chi segue questa strada ammette di non essere superiore agli altri, ma "anzi di essere l’ultimo, più piccolo”.
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