La crisi demografica rallenta la crescita

di Raffaele Buscemi, 28 giugno 2018

Le soluzioni sono due: o facciamo più figli o dobbiamo continuare a lavorare ancora più a lungo. La Banca d'Italia lo dice senza mezzi termini: se in Italia continua l'attuale crisi demografica, entro vent’anni la nostra economia crollerà in maniera inesorabile. L'allarme è contenuto in un occasional paper della Banca d'Italia, secondo cui "negli ultimi venticinque anni e con ogni probabilità nel futuro, la demografia ha dato e darà un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica". Entro il 2041 nemmeno i flussi migratori previsti, che pure "limiteranno l'ampiezza di tale contributo negativo", saranno in grado di invertirne il segno. I tre curatori dello studio - Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli - invitano a intervenire su estensione della vita lavorativa, aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e incremento nei livelli di istruzione per "contrastare i puri effetti contabili legati all'evoluzione nella struttura per età".

"Paesi la cui popolazione mostra – affermano i ricercatori – una quota di giovani in crescita hanno le potenzialità per raccogliere un dividendo dall'evoluzione demografica attraverso l'aumento dell'offerta di lavoro per quantità e qualità. Gli aumenti della popolazione giovane in età da lavoro, influiscono anche sulla composizione per età degli occupati producendo, oltre agli effetti diretti sulla crescita economica attraverso l'aumento dei tassi di occupazione e l'incremento dei livelli di efficienza, effetti indiretti sulla dinamica della produttività innanzitutto attraverso l'impatto sull'innovazione e l'imprenditorialità. La flessione nei dependency ratio (il rapporto tra la popolazione in età non lavorativa e quella in età lavorativa) ha di per sé effetti benefici sulla crescita economica". "L'Italia - rileva lo studio - è tra i paesi sviluppati che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario demografico il cui impatto sulla crescita del prodotto pro capite nei prossimi decenni sarà negativo".

Per più di un secolo dall'Unità, la percentuale di popolazione oltre i 64 anni, pur crescendo, si è attestata in Italia su livelli inferiori alla metà della popolazione più giovane (quella che ha meno di 15 anni). A partire dal secondo dopoguerra, ma soprattutto dalla fine degli anni Ottanta, si è assistito a un progressivo mutamento strutturale che ha condotto la popolazione più anziana a superare quella più giovane alla fine del XX secolo, fino a divenire pari al 165 per cento della popolazione tra 0- 14 anni nel 2017. Le prospettive per il prossimo cinquantennio, afferma lo studio, sono di un'ulteriore crescita del rapporto, mentre l'età media della popolazione salirà di oltre 5 anni tra il 2017 e il 2061, passando dai 44,9 anni a 50,2 anni. 

Gli immigrati non bastano più

Se scomponiamo questa quota per cittadinanza, circa un quarto della popolazione in età da lavoro sarà costituita nel 2061 da cittadini stranieri. In uno scenario limite in cui non ci fossero residenti con cittadinanza straniera, nel 2061 la quota di popolazione in età 15-64 anni sul totale della popolazione, prevista pari al 55 per cento, scenderebbe a poco più del 40 per cento. Gli sviluppi demografici sarebbero dunque stati ancor più penalizzanti per l'Italia se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. Particolarmente importante è risultato il contributo dei migranti alla crescita del pil nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata è stata positiva per 2,3 punti percentuali mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4 per cento senza l'immigrazione. Ma a partire dal 2041 anche l’apporto degli immigrati in termini di lavoro "non sarà più sufficiente a risollevare il prodotto interno lordo", scrivono i ricercatori.