I due volti della Cannabis

di Mauro Maccarrone e Alessandro Finazzi Agrò, 11 marzo 2016

Che derivi o meno dalla parola hashish, il termine “assassino” storicamente attribuito da Marco Polo nel suo Milione ai crudeli seguaci del Vecchio della Montagna è suggestivo del potere psicotropo degli estratti di piante del genere Cannabis (C. sativa per l’hashish; C. indica per la marijuana).

Se gli effetti sul sistema nervoso, come detto sopra, sono noti da centinaia di anni, l’identificazione delle molecole che ne sono responsabili è molto più recente; la principale di queste, il tetraidrocannabinolo (THC, Tabella 1), è stata isolata  da circa cinquanta anni. Come spesso verificato per molte altre sostanze naturali con effetti fisiologici sul nostro organismo, anche per il THC si è poi dimostrato che la sua azione è sostanzialmente simile a quella di molecole prodotte dal corpo, come la arachidoniletanolammide (Tabella 1), detta anche anandamide con un non casuale richiamo alla parola ananda (in sanscrito: beatitudine infinita).

La sostanziale differenza tra le due molecole, esogena ed endogena, è che quest’ultima può essere rapidamente metabolizzata all’interno del nostro organismo. Come per molte altre molecole assunte come droghe o farmaci, anche il THC  agisce mimando le molecole endogene nella loro interazione con particolari strutture delle membrane cellulari, i recettori, cui si legano inducendo modificazioni chimiche e/o fisiche delle cellule stesse. Per quanto riguarda il THC e i cosiddetti endocannabinoidi (cioè i suoi equivalenti endogeni) sono ad oggi stati identificati due diversi recettori cannabici (CB1 e CB2), distribuiti alla superficie di moltissime cellule. Il primo ad essere identificato, il CB1, è presente in quelle nervose ed è il responsabile degli effetti psicotropi del THC.

In seguito sono state identificate altre molecole cannabinoidi, sia estrinseche come il cannabidiolo (CBD, Tabella 1) o il cannabigerolo, il cannabicromene ed il cannabiciclolo, tutte derivate dalla Cannabis,  che intrinseche come il 2-arachidonilglicerolo (2-AG) o la palmitiletanolammide (PEA), mostrati nella Tabella 1. Tutte queste molecole possono interagire in modo diverso con i recettori cannabici o con altre strutture cellulari ancora non identificate, rendendo così conto dei loro effetti variabili per tipo ed intensità. In realtà, la Cannabis è una fonte incredibile di “fitocannabinoidi”, almeno 112 simili al THC ed altri 441 di natura completamente diversa. Nel loro insieme questi fitocannabinoidi rendono gli estratti di Cannabis capaci di agire su molteplici bersagli cellulari, con un effetto “polifarmacologico”. Il CBD ha assunto un rilievo particolare negli ultimi anni, poiché nonostante un meccanismo d’azione ancora non determinato ha sicure proprietà terapeutiche, sia in combinazione con il THC (1:1) nel Sativex®, che da solo nell’Epidiolex®. Il primo farmaco è stato approvato in 27 Paesi per il controllo della spasticità nella sclerosi multipla; il secondo è oggetto di due trial clinici di fase III per il trattamento della sindrome di Lennox-Gastaut, una forma rara ma severa di encefalopatia epilettica età-dipendente, ad esordio infantile.

Recentemente in Italia è stata approvata la coltivazione di Cannabis ad uso farmacologico per la cura della nausea da chemioterapia o in pazienti HIV. E’, però, necessario tenere a mente che la presenza e la concentrazione dei vari componenti attivi della pianta possono variare in modo assai consistente da una cultivar all’altra, per cui l’uso terapeutico e a maggior ragione gli usi “ricreativi” possono comportare rischi anche gravi per la salute.

Mauro Maccarrone e Alessandro Finazzi Agrò
Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia – Università Campus Bio-Medico di Roma

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