Di quale povertà parla Francesco?

di Benedetto Ippolito*, 21 marzo 2013
sanfrancesco

Siamo all’inizio del nuovo pontificato. Martedì scorso, com’è noto, vi è stata in San Pietro la messa che ha segnato il vero e proprio avvio di questa nuova fase storica della Chiesa.

L’aspetto che ha colpito di più l’opinione pubblica è stato il nome che Jorge Mario Bergoglio ha scelto dopo il Conclave: Francesco. Il riferimento al patrono d’Italia fa da parallelo a quello a San Benedetto di Joseph Ratzinger, con una peculiarità. Benedetto XVI ha chiamato in causa un religioso del VI secolo che ha fondato il monachesimo occidentale e che ha guidato con la sua Regola l’evangelizzazione dell’Europa moderna, rimanendo nel quadro classico di un’ispirazione che da sempre è stata costante tra i suoi predecessori. Papa Gregorio Magno e poi Gregorio VII sono solo due tra i più eminenti pontefici medievali che hanno assunto la cultura e l’ascesi benedettina come presupposto e ideale cristiano di diffusione del Vangelo. Molto diversa, invece, è la figura di San Francesco, la quale è stata accolta dalla Chiesa e riconosciuta a pieno come modello di santità fin dal XII secolo, non divenendo, però, mai prima di oggi dichiarato programma fondamentale del magistero di un Papa.

Una cosa, infatti, è sostenere la povertà come valore, altra cosa assumere la povertà come modello etico di governo della Chiesa.

Malgrado queste considerazioni siano giuste e, tutto sommate, anche logiche, bisogna però distinguere molto bene l’idea vera di povertà sostenuta e praticata da san Francesco, cui fa riferimento Papa Bergoglio, dalle varie forme di pauperismo e dagli opposti modi d’intendere la povertà di alcune ideologie contemporanee, come, ad esempio, il marxismo o le cosiddette teorie no global.

Proviamo a mettere un po’ di ordine, insomma, sull’idea di povertà cristiana per capirne la portata nelle intenzioni del Papa.

In primo luogo, la povertà è, in questo caso, il recupero di una virtù evangelica, non il tentativo di disegnare una visione sociale ed economica dello Stato. Nelle Beatitudini compare solo in questo senso specifico la figura dei “poveri in spirito”.

La povertà è, infatti, un atteggiamento verso i beni terreni indispensabile per potersi rapportare spiritualmente e liberamente a Dio. Non a caso, fin quando l’interesse della persona è orientato al dominio e alla conquista possessiva delle ricchezze difficilmente potrà esservi spazio per la preghiera e per l’amore di Dio. Un cuore occupato ad accumulare mezzi non può spendersi per il fine ultimo, per la vita eterna. Quindi, non può spendersi per l’altro e per la propria salvezza.

In secondo luogo, la povertà è da intendersi come un elogio dell’infanzia spirituale, ossia dell’atteggiamento di umiltà e di piccolezza della creatura davanti al creatore. Chi è pieno di sé, chi è ricco di egoismo, non riesce a rendere lode a Dio semplicemente perché non vede la relazione di paternità che lo caratterizza come Figlio di Dio. Anche in questo caso, il valore della povertà è di tipo spirituale, segnando un vero e proprio spartiacque etico tra i gradi di umiltà e i gradi di superbia, come li definiva San Bernardo. Più sono umile e povero e più sono vicino a Dio. Più sono superbo e ricco e più sono distante dalla verità, e quindi da me stesso. Parallelamente, quanto più sono mosso dall’amore per me stesso, tanto meno spazio vi sarà per il prossimo e per Dio, e quanto più sono mosso, invece, dall’amore per Dio, tanto più ordinata sarà la mia gestione delle cose materiali, ossia la mia povertà cristiana e il mio senso del sacro. La povertà, in questo caso, è il risultato del modo in cui mettiamo le nostre reali e profonde intenzioni, vale a dire la ricchezza che desideriamo veramente, di tipo spirituale o materiale.

Qui si arriva al terzo e decisivo punto. La povertà nel marxismo o nella cultura non global è un’ideologia materialista contro la ricchezza, contro il capitalismo, contro la produzione di risorse economiche ottenute attraverso il lavoro. In fondo è una posizione politica che ha un nemico, il ricco, e si muove contro l’altro e contro la libertà spirituale dell’essere umano. Quindi è un ideale politico che si applica con violenza agli altri e non a se stessi. Perciò tutte queste ideologie sono sempre negatrici della volontà e livellatrici del benessere.

La povertà cui pensa Papa Francesco è, al contrario, uno “spogliarsi e umiliarsi, non uno spogliare e umiliare il prossimo”. Ciò significa che si deve amare la povertà attraverso la condivisione materiale dei bisogni altrui. Parafrasando sant’Agostino, possiamo dire che il motto cristiano è “sii povero e fa ciò che vuoi”. Tant’è che la povertà non ha senso positivo al di fuori della scelta personale; non ha valore positivo al di fuori della felicità desiderata e raggiunta; non ha valore positivo senza un giudizio oggettivo sul valore delle risorse naturali e del creato. Amare la povertà è amare tutti, non odiare qualcuno, soprattutto se stessi.

Per questo nell’Omelia d’inizio pontificato Papa Francesco ha parlato di “servizio” e di “custodia del mondo”. Perché la vera povertà produce e diffonde ricchezza, principalmente umana. E il vero rapporto con i beni materiali è di disporne personalmente, ossia spiritualmente, senza pensare alla materialità delle cose come un potere soggettivo di cui si ha diritto a tutti i costi. Al massimo vi è il dovere di amministrare bene ciò che si possiede, con cura, parsimonia e generosità, ambendo a migliorare le proprie condizioni economiche in onestà.

La vera tentazione demoniaca è appunto il dominio. La vera ricchezza cristiana è, invece, la custodia del creato, la cooperazione con il Creatore e il lavoro come servizio reso a se stessi e agli altri. Anche in questo caso non bisogna confondersi, ed è importantissimo distinguere. La povertà cristiana umanizza la realtà. La povertà non cristiana impoverisce l’uomo e la società. La prima santifica, mentre la seconda trasforma la persona da fine ultimo della società a mezzo materiale per la povertà di tutti.

 * l'autore è docente di Storia della Filosofia all'Università di Roma Tre