Non solo Papa Francesco, anche Paolo VI fu considerato un "Papa comunista". Il Wall Street Journal definì la Populorum progressio "marxismo riscaldato", per il Time alcune parti del documento papale avevano “il tono stridente di una polemica marxista d’inizio secolo”. A 50 anni dalla pubblicazione dell'enciclica, Vatican Insider in un articolo ricorda quando anche Giovanni Battista Montini fu definito "comunista". Stessa accusa che è stata mossa a Bergoglio in particolare dopo il viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti. Muovendosi nel contesto della guerra fredda, Paolo VI ricordò la divisione fra nord e sud del mondo. E lo fece anche lui viaggiando nei Paesi in cui la povertà era dilagante, in Africa, Asia e America Latina. In quelle occasioni, si rese conto delle difficoltà dei Paesi in via di sviluppo.
Nel testo della Populorum Progressio Paolo VI cercò di rispondere anche grazie a citazioni di autori contemporanei ai problemi di queste nazioni. Richiamò le parole del domenicano bretone Louis Lebret, ex ufficiale di marina, che aveva visto da vicino la povertà di alcuni popoli. Da religioso aveva creato movimenti e gruppi di ricerca per denunciare i meccanismi finanziari che gravavano sulle economie dei Paesi in via di sviluppo. Non solo risposte tratte dalla contemporaneità, ma anche contenuti della tradizione, come citazioni del De Nabuthae di Sant’Ambrogio, per scardinare il dogma della proprietà privata inviolabile e per legittimare misure come l’esproprio necessario a volte per il bene comune. Anche l’insurrezione armata, pur indicata come fonte di nuove ingiustizie e rovine, viene giustificata «nel caso di una dittatura prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese». La stessa possibilità era già stata riconosciuta e giustificata da San Tommaso nella Summa Theologica. Concetti accomunati da un filo conduttore: “La preferenza per il povero, fin nelle conseguenze sovversive, è una scelta di Dio”.
Dopo la pubblicazione dell’enciclica, anche i giornali italiani affibbiarono a Paolo VI l’immagine del Papa «venduto ai comunisti». Lo fece il quotidiano romano Il Tempo, secondo cui «la tesi della divisione del mondo in Paesi settentrionali industrializzati, imperialisti, egoisti, sfruttatori e in Paesi meridionali arretrati, sfruttati e contadini è propria di Mao e della Cina Popolare», ma anche il settimanale satirico Il Borghese, in un articolo intitolato «Avanti populorum alla riscossa». Il Corriere della Sera invece minimizzò, sottolineando che in realtà «il capitalismo deplorato dall’enciclica non esiste più».
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