Legalizzare la prostituzione vorrebbe dire legalizzare lo stupro a pagamento

di UCCR, 03 luglio 2020

Prostituzione legale. Chi la invoca ritiene sia “un lavoro come un’altro” e guardacaso sono spesso gli uomini a dirlo, ma per l’ex-prostituta Rachel Moran si tratta di una schiavitù che distrugge la donna, la disumanizza e la riduce ad oggetto da pagare e allontanare. 

Il sito UCCR riporta un articolo, apparso su "Il Fatto quotidiano", di Elisabetta Ambrosi, già nota in quanto nel 2014 invitò a depenalizzare l’incesto (e le adozioni per i single) con le stesse argomentazioni utilizzate a favore delle nozze omosessuali. Nel recente commento l’intenzione era difendere le prostitute, ma le ha umiliate terribilmente.

Le donne che si prostituiscono, ha scritto la Ambrosi, «impediscono che la violenza deflagri. Tengono bassi i livelli di stress di milioni di uomini, fanno sì che i loro fluidi si scarichino, abbassando la soglia della rabbia». Ridurre le donne a raccoglitori umani di fluidi maschili è piuttosto vergognoso, sopratutto per una che si definisce femminista. Contribuisce però a far capire che nessuna donna lo farebbe perché “appassionata” ma piuttosto perché è costretta e conferma l’assurdità di chi lo definisce “un lavoro come un altro".

L’ex prostituta Rachel Moran: “Stupro a pagamento”.

La ex-prostituta Rachel Moran, oggi giornalista e femminista anti-prostituzione, è una testimone importante in questo dibattito. La sua vicenda è raccontata in un libro intitolato Stupro a pagamento: la verità sulla prostituzione (Round Robin 2017), dove racconta la lenta devastazione della sua dignità e personalità durante i 7 anni in cui vendeva il suo copro. La sua tesi è che non si può tollerare la compravendita del corpo femminile, perché alla base dello scambio sesso-denaro c’è una relazione diseguale: la prostituzione è sempre «abuso sessuale pagato», così come è insita in essa la distruzione della personalità della donna, disumanizzata e ridotta a oggetto da usare, pagare e allontanare. Lo stesso dicasi per escort, squillo e prostitute d’alto bordo. Tutte, scrive la Moran, «sono vittime di una mistificazione che fa comodo agli uomini che pagano per fare sesso». L’umiliazione subita ogni giorno è uguale per tutte e in tutti i segmenti di mercato.

La femminista intende battersi perché la prostituzione sia riconosciuta come «sfruttamento sessuale radicato nell’abuso» e, di conseguenza, per la criminalizzazione della richiesta di rapporto sessuale a pagamento, cioè dei clienti. Che, tra l’altro, corrisponde alla stessa linea suggerita dalla Conferenza Episcopale Italiana. Assieme a lei tante attiviste che difendono il modello nordico “proibizionista” svedese, diffusosi in Norvegia (nel 2009), in Islanda (2009) ed è attualmente in discussione in Irlanda, Israele, Gran Bretagna, Finlandia e Francia.

Lavoro come un altro? Ma in quale lavoro l’abuso sessuale fa parte del contratto? Papa Francesco, giustamente, ha parlato, senza mezzi termini, di «donne schiave della prostituzione. Non mi piace dire prostitute: schiave della prostituzione».