La morte di Savita. Un caso mediatico contro l'Irlanda pro life?

di Giovanni Vassallo, 29 novembre 2012

La recente morte per setticemia di Savita Halappanavar, dentista indiana di 31 anni, incinta di 17 settimane, a cui è stato negato l’aborto, ha spinto alcuni media britannici e irlandesi a esigere dal governo una riforma della legge sull’aborto. In Irlanda da anni vi sono pressioni perché si cambi la legge, e il caso di Savita è stato preso come strumento per una vera e propria campagna. Al momento non si sa se la gravidanza era la causa della malattia né se l’aborto avrebbe salvato la vita della madre. Due commissioni stanno accertando che i medici abbiano seguito la legislazione attuale, che permette l’aborto solo se la donna corre “pericolo grave e sostanziale”. Di certo il fatto che la polemica sia stata impostata su una critica alla morale cattolica non ha fondamento: la Chiesa infatti insegna da sempre che è moralmente ammissibile prestare cure a una madre in pericolo di vita, anche se queste provocano indirettamente la morte del nascituro. 

Il giornalista David Quinn del quotidiano The Independent, ha criticato questi media per aver giudicato il caso prima ancora di conoscere bene i fatti. Infatti quotidiani apertamente abortisti, come The Guardian, ma anche di impostazione più favorevole al prolife come Daily Telegraph e Daily Mail, nel riferire la vicenda hanno dato per certo che Savita sia morta perché i medici le avevano negato l’aborto.

Dai fatti che al momento si conoscono sappiamo che Savita Halappanavar giunge con dolori alle spalle all’Ospedale Universitario di Galway domenica 21 ottobre 2012. Quel giorno i medici le dicono che il bambino non sopravviverà. Il giorno dopo la madre chiede di abortire ma i medici glielo negano “perché il cuore del feto batte ancora”. Il dialogo si ripete ancora invano martedì e mercoledì. Mercoledì il bimbo muore in modo naturale e allora i medici procedono a un parto indotto. La salute di Savita peggiora questo stesso giorno e viene mandata nel reparto di terapia intensiva, dove muore la notte di sabato 28 ottobre. L’autopsia attesta che è morta di setticemia e ESBL E.coli.

Quinn afferma che se realmente l’aborto era necessario per salvare la vita della madre, nulla avrebbe impedito ai medici di praticarlo, secondo quello che stabilisce la legge irlandese. D’altra parte non si sa scientificamente se l’aborto avrebbe salvato Savita. Questo è quello che dovranno stabilire le indagini dell’ospedale e del ministro della sanità, James Reilley, che ha dichiarato che non ci sono prove che l’aborto sia stato negato per motivi religiosi.

A proposito di mortalità materna, l’Irlanda ha uno dei più bassi tassi di mortalità materna, molto al di sotto della Gran Bretagna dove l’aborto è consentito se la donna lo richiede.
In Irlanda infatti muoiono meno di 3 madri su 100.000 nati, mentre in Inghilterra e Galles sono 8 e in Scozia 10. Quinn ricorda inoltre che la mortalità materna può essere anche causata dall’aborto legale, come per esempio stava per accadere nel 2011 a una donna irlandese che rischiò di morire in Gran Bretagna durante un aborto legale, notizia che in Irlanda passò sotto silenzio.

In una nota pubblicata lunedì 19 novembre, i vescovi d’Irlanda hanno chiarito che la Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita del feto deve essere preferita a quella della madre; entrambe sono sacre e meritano la stessa tutela. Pertanto sono eticamente leciti – spiegano – gli interventi medici necessari per salvare la vita di una donna incinta anche se possono causare – indirettamente – la morte del figlio non nato, oltre al fatto che la legge irlandese autorizza questo tipo di interventi.

Fonte Aceprensa

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