Nel 2023 la spesa pensionistica ha raggiunto i 317 miliardi e nel 2024 supererà i 340 miliardi. Il rapporto tra spesa pensionistica e Pil alla fine del 2024 arriverà al 16% (0,8 punti percentuali sopra il dato del 2018) e rimarrà stabile fino al 2029; nel 2030 il rapporto riprenderà ad aumentare fino a raggiungere il 17% nel 2042.
Secondo il Rapporto annuale del Centro Studi Itinerari Previdenziali presentato a gennaio 2023, il miglioramento ottenuto nel 2021 nel rapporto tra lavoratori attivi e pensionati può essere minato dal numero crescente di pensionati, l’aumento dell’inflazione e la diminuzione di nascite.
Aumentano i pensionati ma diminuiscono i lavoratori in Italia
I nati nel periodo del Baby Boom, tra il 1946 e il 1964, sono oltre 14 milioni e oggi hanno un’età tra i 59 e i 77 anni. Sommando questi 14 milioni ai nati tra il 1964 e il 1978, pari a 12,3 milioni, si ottiene una cifra che equivale a metà della popolazione italiana. Ciò significa che nei prossimi 22-25 anni si pensioneranno all’incirca 8 milioni di lavoratori, pari a circa 364 mila persone ogni anno, ovvero mille al giorno. Questo senza un apporto altrettanto ingente di lavoratori attivi.
I prepensionamenti pesano sulla tenuta del sistema italiano
Secondo i dati del decimo Rapporto annuale del Centro Studi Itinerari Previdenziali, presentati a gennaio 2023, sebbene il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati sia migliorato nel 2021, per garantire questo equilibrio sarebbe necessario ridurre le numerose forme di anticipo pensionistico a favore di una revisione duratura del sistema.
L’aumento di spesa dovuto al crescente numero di pensionamenti supera di gran lunga il contenimento dei costi frutto del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, anche perché ci sono ancora molti pensionamenti con il sistema misto.
Effetti dell’applicazione generalizzata del sistema contributivo nel 2045
A partire dal 2045 il rapporto tra spesa pensionistica e Pil tornerà a diminuire rapidamente portandosi al 16% nel 2050 e al 14% nel 2070.
«La rapida riduzione nell’ultima fase del periodo di previsione - si legge nella Nadef (nota di aggiornamento al DEF) - è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna all’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento risente sia della progressiva uscita delle generazioni del baby boom sia degli effetti dell’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita».
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