In Italia, secondo uno studio dell'Università di Bologna, le donne spendono circa tre volte il tempo che spendono gli uomini in cura della casa e dei figli e lo squilibrio è peggiorato durante il lockdown. Inoltre nel 22% dei casi le donne che lavoravano prima della gravidanza smettono di lavorare entro due anni dal parto. La condivisione dei carichi familiari, basandoci sui congedi di maternità e di paternità, non è per nulla equa: la madre ha diritto a 5 mesi obbligatori, mentre il padre appena 7 (aumentati a 10 nel 2021) giorni.
I congedi parentali invece sono facoltativi e possono essere divisi tra i genitori. Questo tipo di congedo dura fino a 10 mesi, 11 se è il padre a usufruirne, è retribuito solo al 30% e vale fino a quando il figlio non raggiunge i 12 anni. Tuttavia in Italia non sono in molti i padri a fare uso dei congedi: nel 2018, i congedi di paternità erogati erano solo un terzo dei congedi di maternità, e il numero di persone che usufruiscono del congedo parentale è la metà rispetto al numero complessivo delle madri.
Data questa situazione non c’è da stupirsi se le nuove nascite continuano a essere basse (nel 2019 ci sono state 435 mila nascite), la metà delle madri non hanno un’occupazione (solo il 54,5%) e molte lasciano il lavoro dopo il primo figlio.
Congedo di paternità: la situazione in Europa
Eppure aumentare i giorni di congedo obbligatorio non solo sarebbe possibile, ma è già una realtà in molti paesi europei. Qui si può vedere come i padri di altri paesi europei possano godere da due settimane, come in Svezia e in Irlanda, fino a 150 giorni retribuiti in Portogallo.
Aumentare il congedo di paternità: la proposta
A questo proposito Tortuga, un think-tank italiano di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell'economia e delle scienze sociali, ha elaborato questa proposta completa di costi e stime per aumentare il congedo parentale per i padri fino a 4 settimane.
Parte della proposta si basa inoltre sull’aumentare il contributo delle strutture che offrono servizi socio-educativi (tra cui asili nido pubblici e privati, spazi gioco, servizi in contesto domiciliare e centri per bambini e genitori) che, ad oggi, riescono ad accogliere solo il 24% dei bambini tra gli 0 e i 3 anni. Siamo ben lontani dal minimo di copertura del 33% fissato dall’Unione Europea. Inoltre il calo degli investimenti da parte dei comuni ha portato anche a una diminuzione degli iscritti negli asili a gestione comunale. Questo potrebbe essere comunque colmato dalle scuole paritarie, se non fosse che molte rischiano di chiudere dopo l’insorgere della pandemia.
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