In Italia è di recente tornato alla ribalta il tema dell'eutanasia.
Ne ha parlato "Bella addormentata", l'ultimo film di Marco Bellocchio che ha riproposto il caso di Eluana Englaro, se ne è parlato in occasione della morte del Cardinale Martini, il quale ha rifiutato forme di accanimento terapeutico. E sullo stesso tema è stata ricordata la frase detta da Giovanni Paolo II sul letto di morte: «lasciatemi andare alla casa del Padre».
Alcuni hanno sostenuto che il caso del cardinale fosse simile a quelli di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby. Vicende queste sulle quali si sono accesi forti dibattiti nell’opinione pubblica, che tuttora proseguono con l'iter di un disegno di legge sul fine vita.
Vediamo in modo schematico quali sono le differenze tra i casi in questione.
Martini | Englaro | Welby | |
Situazione clinica | stato finale di una malattia neurodegenerativa (Parkinson) | stato vegetativo | distrofia muscolare progressiva, attaccato ad un respiratore (senza il suo consenso) in seguito ad una tracheotomia |
Prospettive di vita | Morte imminente | Indefinite, la situazione era stabile | Indefinite |
Espressione di volontà | Rinuncia ad un’alimentazione artificiale ininfluente nell processo di morte in corso | Incerta. ricostruita dal padre | Richiesta di essere staccato dal respiratore |
Morte | Normale decorso della malattia | Interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione | Distacco del respiratore |
Differenze tra accanimento terapeutico ed eutanasia
A questo punto è opportuno ricordare la differenza tra accanimento terapeutico ed eutanasia.
L’accanimento terapeutico è un intervento medico non più adeguato alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure perché appare troppo gravoso per le sue condizioni. La rinuncia all’accanimento terapeutico non vuol dire procurarsi la morte o procurare la morte ad una persona. Si accetta semplicemente di non poterla impedire. Spetta al paziente, se ne è cosciente, in dialogo con il proprio medico e con le persone che lo assistono, decidere quando e come sospendere determinati trattamenti o non iniziarne altri all’approssimarsi del termine della propria esistenza terrena. Qui è la definizione del Catechismo della Chiesa cattolica (punto 2278)
Eutanasia. Si dice “diretta” quando si mette fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte.
Si dice “indiretta” o “passiva” quando viene sospesa la somministrazione dei farmaci, o quando il medico si astiene dal compiere interventi di cura.
Gli elementi qui descritti fanno concludere che nel caso del cardinale Martini ci sia stato un rifiuto dell’accanimento terapeutico, e che negli altri due casi si tratti di eutanasia.
Discrezionalità dei medici
Due considerazioni sul concetto di “accanimento terapeutico”:
* solo le organizzazioni mediche competenti sono titolate per decidere quando un intervento è proporzionato o no. Spesso la decisione va presa "al capezzale del malato", cioè considerando la situazione specifica del singolo paziente
* Il giudizio varierà nel tempo, man mano che progredisce la tecnica medica. Ciò che è sproporzionato oggi può diventare proporzionato domani.
Il disegno di legge
Occorre aggiungere che nel disegno di legge italiano sul fine vita si chiarisce fra l'altro che non rientra nella categoria dell'accanimento terapeutico il dar da mangiare e da bene al paziente, nelle forme più idonee (anche flebo o sondino).
In un caso come quello del cardinale Martini il disegno di legge prevede la possibilità di rinunciare ad un’alimentazione ininfluente nello stadio finale della malattia. Il Cardinale Martini sarebbe morto anche se avesse accettato di mettere il sondino naso gastrico, perché l’alimentazione era un aspetto puramente marginale rispetto alle sue condizioni di salute.
Un caso come quello di Welby invece non dovrebbe più verificarsi, perché la proposta di legge italiana prevede una dichiarazione scritta sulle proprie volontà di accettare o meno certi trattamenti straordinari. Quindi un malato dalle convinzioni di Welby non verrebbe attaccato ad un respiratore.
Neanche il caso Eluana si potrà ripetere: non sarà consentita l’interruzione di alimentazione e idratazione di una persona in stato vegetativo, perché non è lo stadio finale di una malattia.