Ripensare il rapporto tra economia e morale?

Ettore Gotti Tedeschi, il Timone gennaio 2009, Il Foglio e Corriere della Sera 18.2.09

Le ragioni del disastro
di Ettore Gotti Tedeschi, Il Timone, gennaio 2009

 

 

La crisi prodotta dal crollo dei valori
Osservando i processi decisionali dei governanti del mondo per risolvere l'attuale crisi economica e finanziaria, più che andare alle vere radici del problema, si direbbe che cerchino di individuare alcune cause, disputando se le stesse sono dovute a un uso improprio della finanza o di strumenti dell'economia reale. Nessuno di questi due aspetti è la vera origine del disastro e pertanto temo la transitorietà e l'insufficienza delle soluzioni. In realtà, la crisi è stata prodotta dal crollo dei valori dell'uomo, ridotto a strumento del ciclo economico, con l'affermazione inequivocabile della totale autonomia morale dell'economia. Più che biasimare tali dottrine economiche, bisognerebbe assicurare ai loro esponenti un prerido Nobel per la diseconomia.

Crisi morale da tempo prevista ma mai ascoltata
Ci si domanda anche se fosse stato possibile prevedere questa crisi, e perché non è stata prevista. Si risponde che gli economisti, ohimé, sanno solo prevedere il passato e che gli strumenti, troppo sofisticati, non sono stati gestiti come si sarebbe dovuto. Quest'ultima considerazione è vera, l'aveva già prevista nell'enciclica Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987) papa Giovanni Paolo II, quando avverti che all'uomo troppo tecnologico e poco maturo spiritualmente sarebbero sfuggiti di mano gli strumenti. Grande profeta oltre che grande Papa, Giovanni Paolo Il. Questi rischi furono previsti, eccome; ma poiché le spiegazioni e le raccomandazioni furono di carattere morale, vennero ignorate e persino ridicolizzate. lo ricordo che verso la fine degli anni '80 venivo considerato uno "sfruttatore" delle risorse del pianeta e un incosciente produttore di squilibri naturali, perché avevo ben 5 figli (e una sola moglie).

Alle radici della scissione tra economia e morale
Ciò che è successo è dovuto alla totale affermazione dell'autonomia morale dell'economia e della finanza, autonomia che è il fruttò progressivo della storia della separazione tra economia e morale da almeno trecento anni, da quando cioè l'illuminismo stabilì la "natura bestiale" dell'uomo e, conseguentemente, l'esigenza di soddisfare solo i suoi bisogni materiali, essendo quelli spirituali una pura illusione. Così nacque la dottrina "fisiocratica", che stabilì il governo buono della natura umana (necessario al laissez faire liberista indispensabile alla futura rivoluzione industriale), che non necessitava di regole morali suggerite dalla religione. Dopo gli eccessi "egoistici" di tale dottrina, seguirono le correzioni marxiste, anche antireligiose (rivolte, non dimentichiamolo, a una forma di capitalismo sorto in conseguenza della Riforma, non al capitalismo cattolico originale). Dopo Marx segui la contro reazione della dottrina utilitaristica, che produsse concentrazioni di enormi ricchezze e fu all'origine, a diverso titolo, dell'enciclica Rerumm Novarum di papa Leone XIII (1878-1903) nel 1891 e della legge antitrust, lo Sherman Act, negli USA, nel corso dell'anno precedente. Successivamente, come reazione "laicista", nacque la tecnocrazia, dove i tecnocrati divennero i nuovi grandi sacerdoti della società, escludendo naturalmente gli altri sacerdoti. Quindi arrivò John Maynard Keynes (1893-1946), che decretò che soltanto la scienza, e non più la morale religiosa, dovesse occuparsi dei problemi dell'uomo. E fu proprio Keynes a stabilire le regolo per utilizzare la gestione della popolazione per equilibrare i cicli economici.

L'invenzione del consumismo edonistico per rimediare al crollo della natalità
Quando ci domandiamo perché non c'è sufficiente visione etica in economia, dobbiamo appunto ricordare che è stata, a dir poco, censurata. Negli anni 1973-1975 le dottrine neomalthusiane produssero il crollo della natalità nel mondo occidentale. Per compensare questo crollo, si inventò il consumismo edonistico, che avrebbe prodotto una giuliva crescita della domanda, prescindendo dalla scarsa crescita della popolazione. Il resto del mondo, che magari non sapeva leggere, invece continuò a far nascere figli acquisendo sempre più potere e peso politico. Ma senza crescita di popolazione i costi fissi di una società crescono, perché diventa squilibrata la composizione della popolazione (che invecchia e provoca maggiori costi sodali contemporaneamente alla diminuzione di contribuzioni). Aumentando i costi fissi, non si possono diminuire la tasse; crollando la natalità e perseguendo una politica di consumi crollano i risparmi e la ricchezza finanziaria disponibile per investimenti. Gli interventi correttivi fallirono, fino ad arrivare persino a correggere la scarsissima crescita (in USA si corresse con l'immigrazione da alcuni paesi latinoamericani, soluzione insufficiente perché si dovevano sostenere contemporaneamente anche i costi per lo scudo spaziale e per la guerra nel Vietnam), inventandosi la crescita del PIL attraverso il finanziamento dell'acquisto di case a chi non poteva permettersi di comprarle, indebitando così le famiglie e mettendo a rischio il sistema finanziario.

Clark e il mito della sovrappopolazione
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti noi. Vorrei a questo punto ricordare un oscuro "eroe" che predisse i misfatti di una economia a crescita demografica zero: il prof. Cohn Clark (1905-1989). Nel 1973, questo professore australiano di economia quantitativa nell'università di Cambridge, inventore del concetto di PNL (prodotto nazionale lordo), scrisse un libro, Il mito della esplosione demografica (tradotto l'anno seguente dalle edizioni Ares), confutando tutte le teorie e le tecniche dimostrative neomaithusiane, ridicolizzando le previsioni catastrofiche di sfruttamento delle risorse ed esaltando, invece, la crescita della popolazione quale motore dello sviluppo, passato, presente e futuro. In suo ricordo riporto la conclusione del suo libro citato : «E del tutto evidente che i problemi del mondo scoppieranno nel secolo futuro, ma saranno politici, non economici o ecologici. Questo clamore isterico circa la crescita della popolazione che conduce alla povertà, alla carestia, all'incontrollabile deterioramento ecologico, non è solo falso, ha una colpa più grave. In realtà distrae l'attenzione dalle questioni politiche che costituiranno i problemi mondiali».

Quale visione dell'uomo alla base dell'economia?
Da troppo tempo il valore di un uomo è legato a quanto può produrre e guadagnare, consumare e spendere. E a null'altro. Questo modello capitalistico si è dimostrato inconsistente e dannoso, producendo una utopia economica che ha provocato degenerazioni. Si dice che l'economia deve ritrovare una sua etica. E quella "sua" che mi preoccupa. lo conosco una sola etica sostenibile, quella che riconoscendo la sacralità dell'uomo e affermando che la vita umana ha il senso che il suo Creatore ha voluto dargli, automaticamente investe di un "senso" anche il comportamento economico.


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"La crisi ha radice in una grave crisi morale" dice il numero 2 di Goldman Sachs
tratto da Il Foglio, 18.2.09

Ecco alune dichiarazioni rilasciate a Il Foglio  da Lord Griffiths of Fforestfach, Vice-Chairman di Goldman Sachs ed ex-capo della Policy Unit di Margaret Thatcher.

"II ministro Tremonti ha ragione: l'attuale crisi finanziaria, con le sue ripercussioni a catena sull'economia mondiale, affonda le radici in una grave crisi morale delle società occidentali. La ricchezza è stata intesa in modo sbagliato, quasi deificata"

"Negli ultimi trent'anni il sistema bancario è cambiato drasticamente - spiega Griffiths al Foglio - la liberalizzazione e la deregulation delle banche hanno consentito la diffusione su larga scala del prestito al consumo e l'offerta di prodotti innovativi". Se da un lato si è trattato di una cosa buona dalle conseguenze benefiche ("l'aumento del livello di vita del cittadino medio"), dall'altro ciò è avvenuto in assenza di regole chiare e precise, così "il pendolo si è inclinato verso un'unica direzione. Negli Stati Uniti - chiarisce Grifliths - il sistema finanziario ha assunto troppi rischi perché alcune banche commerciali non hanno valutato correttamente il valore dei propri fondi di investimento, che andava adeguato costantemente al reale valore di mercato". Inoltre, è stato uno sbaglio pagare i bonus dei manager di anno in anno, un arco di tempo considerato troppo breve per commisurarlo all'efficacia dei risultati, e i bonus andavano pagati in equity anziché in contanti. "E' indubbio - dice Griffiths - che la forte competizione fra le banche ha favorito comportamenti irresponsabili". In particolare in Gran Bretagna, se nella metà degli anni 70 l'indebitamento medio percentuale di una famiglia non superava il 40-50 per cento, nel 2007 ha raggiunto il 160 per cento. 'Tutto ciò autorizza a chiederci se non siamo diventati troppo materialisti", chiosa tremontianamente Griffiths.


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Il Pil crolla. E i governi lo riformano
di Federico Fubini, Corriere della Sera, 18.2.09

A scelta, è il momento migliore per riformare le liturgie dell'economia oppure il più sbagliato. Negli ultimi giorni, politici, élite degli esperti e normali cittadini hanno assistito all'autodemolizione di un feticcio contemporaneo: il Pil. La sua cifra fino a ieri era considerata il riassunto della salute di un intero Paese. Ma agli ultimi dati, il Prodotto interno lordo sta crollando come se quelle che vengono definite «potenze economiche» fossero diventate di colpo altrettante Repubbliche popolari cinesi al contrario. In ritmo annuale, il Pil tedesco va giù di oltre l' 8%, quello dell' Italia del 7%, l' Europa crolla quasi del 6%, gli Stati Uniti del 4% circa e persino la Cina non è più quel che era: secondo il consigliere economico della Casa Bianca Larry Summers, il Pil sta scendendo anche lì. Con una piroetta, la si definisce in questi casi «crescita negativa». C' è dunque anche qualcosa della favola della volpe e l'uva nella corsa dei governi, da Parigi a Ottawa, da Dublino a Canberra, a dichiarare proprio ora la morte del Pil, cioè l' inadeguatezza del termometro dell' economia. Visto che la febbre non cala, l' istinto della rimozione aiuta.

Le imperfezioni del Pil: non descrive la situazione reale
Eppure il Pil come bussola della salute di un sistema per vari aspetti si è dimostrato imperfetto. Esso stima la «crescita» tramite le vendite nette di beni e servizi, istruzione e fatturato della sanità incluso, ma qualcosa non torna. E non solo perché quel dato non coglie l' aumento delle differenze fra i più ricchi e i più poveri. C' è un paradosso che va anche oltre: in una recente audizione al Congresso Usa, lo scrittore Jonathan Rowe ha così definito il suo «eroe del Pil»: è un malato terminale di cancro impegnato in una costosa causa di divorzio. Un uomo così, con il fatturato che porta a ospedali e studi legali, contribuisce all' economia più di un marito felice e in perfetta salute. L' elenco dell' assurdo in realtà sarebbe anche più lungo. In base ai criteri attuali, fa meglio alla crescita consumare carburante fermi in un ingorgo, magari ammalando di asma da smog i bambini del quartiere, che prendere la metropolitana. Contribuisce maggiormente affidare i propri genitori a un istituto per anziani, che occuparsi personalmente di loro. E avvicina più la ripresa costruire un grande carcere che una piccola scuola dove non ce n' è neanche una. Riempire di cibo-spazzatura la bocca del proprio figlio, anziché parlare con lui, rilancia poi molto meglio l' economia nel prossimo trimestre.

Sta cambiando l'idea di come misurare l'economia: alcuni esempi internazionali
L' America, il Paese dal Pil più vasto e dinamico del dopoguerra, presenta dati fra i peggiori nell' Ocse (ultima dopo Messico e Turchia) quanto a patologie infantili da obesità, oltre a costi sanitari doppi rispetto all' Europa: anche questo è Pil. Proprio il Congresso di Washington, nell' attesa che Barack Obama si impegni su questo fronte, riflette su come vada misurata davvero un'economia e da quali statistiche una società debba trarre autostima o segnali d'allarme. Lo stesso fanno i governi in Francia, Irlanda, Australia, Spagna, Canada e da ancora più tempo l' Ocse, il club delle prime trenta democrazie capitaliste. In Italia il ministro Giulio Tremonti sostiene che il Pil non fotografa adeguatamente certi punti di forza dell' economia nazionale, dal ruolo del volontariato al risparmio delle famiglie. Senza un quindicennio alle spalle di crescita bassa e diseguaglianze sociali in aumento l'argomento sarebbe ancora più robusto, eppure l' Italia non è sola. Persino il nuovo sovrano del Bhutan, re Khesar, ha lanciato un sondaggio per mettere a punto una nuova misura: la «felicità interna lorda». Un centro di ricerca del regno himalayano sta così raccogliendo questionari su una gran quantità di variabili: incidenza del benessere psicologico, gelosia, frustrazione, disponibilità di tempo libero, salute, educazione, i modelli culturali e la loro tenuta nelle generazioni, qualità della vita comunitaria e in famiglia, tutela e conoscenza dell' ambiente. C' è molta autarchia buddista in tutto questo, ma re Khesar ha trovato un alleato in Nicolas Sarkozy. Prima ancora della recessione, il presidente francese ha iniziato a prendere sul serio il crescente malumore nell' opinione pubblica verso i dati ufficiali di crescita e inflazione. Nel suo stile, Sarkozy ha creato una nuova «Commissione sulla misurazione delle performance economiche e del progresso sociale» che farà rapporto in aprile. Ci lavorano vari premi Nobel dell' Economia, da Joseph Stiglitz (che la presiede) a Amartya Sen, a Daniel Kahneman. L' italiano Enrico Giovannini, capo-statistico dell' Ocse e da anni animatore degli studi su questi temi, guida il gruppo sulla valutazione dei dati attuali di crescita. Un secondo gruppo lavora sul «Pil verde» e la sostenibilità ambientale, un terzo guidato da Alan Krueger di Princeton su come si misuri la qualità della vita. La commissione, coordinata da Jean-Paul Fitoussi a fianco di Stiglitz, mostrerà che i paradossi non mancano e cercherà di trarne indicazioni. La crescita cinese fa meno impressione se si tiene conto della devastazione dell' ambiente e delle falde, con il 60% delle città ormai spesso senz' cqua. L' estrazione del petrolio consuma risorse della terra, eppure viene stimata come aumento netto del Pil. E la sanità americana contribuisce all' economia meno di quella francese o italiana, non il doppio come oggi, se la si valuta sui risultati (quanti cittadini sono in salute) e non sul fatturato (quanto costa).

Pil non può essere metro del benessere
Giovannini però non critica il Pil, che resta un indicatore valido del dinamismo di un sistema. Non invita a rimuoverne i responsi se sconvenienti. Si limita ad avvertire che prenderlo per metro del benessere può confondere le idee: «L' eccesso di attenzione a questo dato ci ha fatto perdere di vista alcune fragilità - dice - dando troppa attenzione ai risultati immediati». Così, per esempio, i grandi numeri della crescita americana degli anni scorsi hanno distratto molti dal debito in aumento e dal reddito in calo dei ceti medi. Ma è una tradizione antica: nell' America di fine anni 40, una volta scese le spese militari, comprare beni di consumo era considerato «eroico» e, come atto di patriottismo, anche George W. Bush invitò tutti a fare shopping dopo l' 11 settembre malgrado i debiti. Lo stesso dibattito sul piano Obama di oggi si occupa più di quanto «stimolo» dare al Pil, che esattamente per fare cosa e con quali conseguenze.

Nella crisi la mentalità sta cambiando: i mercati non sembrano più così razionali
Jonathan Rowe sostiene invece che «il futuro conta» e ogni attività che crea reddito subito «dovrebbe essere pesata contro gli oneri che impone ai nostri figli e nipoti». Rowe propone anche di stimare meglio (e meno) l' impatto di alcune voci di fatturato: quelle in beni che danneggiano l' ambiente, quelle incomprimibili come le cartuccie nuove da stampanti «fatte apposta perché sia impossibile riempirle di nuovo dopo il primo uso». Soprattutto, sia Rowe che la commissione Stiglitz puntano ormai a misurare più i risultati che la spesa: un' auto è efficace se produce trasporto e non si limita a consumare benzina in un ingorgo. Forse le mentalità stanno cambiando perché equiparare il Pil al progresso, derivava dalla certezza che chi spendeva sapesse perché lo faceva: è la teoria della razionalità dei mercati, che tendono sempre all' equilibrio. Ma da quando Lehman è crollata e tutti «cresciamo negativi», come fossimo una Cina capovolta, anche il re del Bhutan va abbastanza di moda.