«La ricerca non può ignorare la verità sulla natura umana»

di Viviana Daloisio, Avvenire 5 luglio 2007
Politica, interessi economici, ideologie. A guardarla da lontano, la battaglia in corso negli Stati Uniti sulle cellule staminali pare un puzzle di difficile soluzione. Basti pensare alla condotta del Congresso americano: che due volte, negli ultimi mesi, – nonostante dal 2001 i fondi pubblici a favore della ricerca sugli embrioni siano bloccati – si è espresso a maggioranza a favore di questa ipotesi, e che due volte ha trovato sulla sua strada il veto del presidente Bush. Per capire cosa sta succedendo davvero, ci siamo rivolti a chi in quella battaglia è schierato in prima linea, lo scienziato afroamericano James Sherley, genetista del Massachusetts Institute of Technology di Boston (il celebre Mit), tra i massimi studiosi di cellule staminali adulte. Che per la sua contrarietà alla ricerca sugli embrioni negli Usa si è guadagnato il soprannome di "eretico" delle staminali. E sta pagando di persona.

Professor Sherley, che cosa pensa dello stato attuale della ricerca sulle cellule staminali negli Usa e nel resto del mondo?

«Penso che una piccola porzione dell’intero universo scientifico, concentrato in un numero relativamente piccolo di eccellenti laboratori con a disposizione la maggior parte dei fondi devoluti per la ricerca stia manipolando l’attenzione dei media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica. Mi riferisco a chi conduce ricerca sulle cellule staminali embrionali. Certo, la scienza ci ha abituati a che, in un campo nuovo e pieno di aspettative dell’investigazione scientifica, anche i più quotati centri di ricerca e le menti più illuminate si lascino travolgere da valutazioni entusiastiche poi smentite dai fatti. Ma qui c’è qualcosa di più grave: questo piccolo gruppo di scienziati "eletti" ha abbandonato i princìpi di una condotta etica e responsabile e costringe l’opinione pubblica ad accettare e approvare una scienza inumana, per giunta incapace di realizzare i benefici che promette».

A questo proposito, lei ha sostenuto che la ricerca sugli embrioni – oltre a essere sbagliata da un punto di vista etico – è del tutto inutile sul piano scientifico.
«Esatto. Più precisamente, ho affermato più volte che le cellule embrionali umane non possono essere utilizzate per riparare o curare tessuti e organi».

Perché?

«È molto semplice: le cellule embrionali non hanno la capacità di produrre cellule adulte e funzionali senza perdere la propria identità. Mi spiego. Nonostante i nostri organi e tessuti ci appaiano statici, a livello cellulare essi sono coinvolti in un costante movimento di morte e rigenerazione cellulare: si tratta di un processo facilmente osservabile schiacciando la pelle delle nostre guance tra le dita, e osservando cosa vi accade al microscopio: vengono continuamente prodotte nuove cellule, che maturano, assumono specifiche funzioni, invecchiano, muoiono e di nuovo vengono rimpiazzate dalle nuove. A produrle sono le cellule staminali adulte: un consistente e fondamentale gruppo di cellule che, a differenza delle prime, non cambiano mai e che proprio per questo motivo garantiscono la stabilità e funzionalità specifica dell’organo o tessuto in questione. Le cellule embrionali non hanno questa capacità: quando vengono utilizzate per produrre cellule mature, esse diventano quelle cellule perdendo la proprià identità originaria. Un tessuto riparato con queste cellule finirà per distruggersi perché non avrà cellule capaci di ricordare come sostituire le altre».

Lei avanza argomenti scientifici, suffragati da ciò che accade in laboratorio. Perché gli scienziati che lavorano sulle staminali embrionali non ammettono questi limiti?

«È incomprensibile. Ci troviamo di fronte a ricercatori esperti, e preparati, che non solo sbagliano ma nascondono i propri errori all’opinione pubblica in modo da continuare imperterriti in una ricerca erronea. Un atteggiamento imbarazzante».

Come quello del Congresso, che continua a votare per i fondi alla ricerca sugli embrioni nonostante il veto di Bush?

«Sì, ma in questo caso esiste una precisa spiegazione: il problema degli Usa oggi è che la ricerca sugli embrioni è uno dei due cavalli di battaglia della campagna politica anti-Bush. L’altro è la guerra in Iraq. Si tratta di due argomenti lontanissimi, eppure la loro sintesi sul piano del dibattito politico ha un esito comune: molti americani credono che se sono state dette loro delle bugie sulla guerra o, comunque, se sono stati commessi errori cruciali dall’amministrazione attuale, allora accade lo stesso per la ricerca sugli embrioni. L’amministrazione Bush sbaglia sulla guerra, dunque sbaglia anche a osteggiare la ricerca sugli embrioni. Che, invece, è davvero fallimentare. E che per questo motivo non dovrebbe essere finanziata».

Professor Sherley, lei è stato pesantemente contestato per la sua posizione scientifica al Mit di Boston. Pensa che sia in atto un tentativo di estromettere i ricercatori "dissidenti"?

«Al momento ho grossi problemi all’interno del Mit in seguito alla decisione presa dall’istituto di non darmi una cattedra e di chiudere il mio laboratorio di ricerca sulle staminali adulte. Ho protestato, perché sono convinto che esista una forma di discriminazione razziale nei confronti dei docenti neri. Non posso dire con certezza che la mia posizione di assoluta contrarietà rispetto alla ricerca sugli embrioni sia stata determinante, ma certo non ha mai giocato a mio favore. Una volta, in occasione della visita di un premio Nobel, venni a sapere che ben tre dei miei colleghi si erano lamentati con la direzione circa la mia posizione sulle staminali embrionali. Si erano definiti "imbarazzati" della mia presenza al dibattito. Io, comunque, andrò avanti a dire la verità, a combattere per le mie convinzioni».

Che importanza ha la battaglia bioetica che sta conducendo? Qual è la posta in gioco?

«La questione degli embrioni umani è una questione di diritti umani. La posta in gioco, nel dibattito su se sia lecito o no utilizzarli per la ricerca, è altissima: quella di costruire una società che ignori la verità sulla natura umana e su quello che le spetta di diritto, la vita. La sfida degli esseri umani dovrebbe essere quella di realizzare il proprio bene personale tenendo un occhio ben puntato su quello futuro di tutti. La nostra specie, storicamente, ha tollerato significativi gradi di devianza rispetto a questa pratica: ma con il progresso rapidissimo della scienza e della tecnologia, con l’enorme spreco di vite portato avanti dalla ricerca sugli embrioni e dall’aborto, presto impatteremo con la nostra stessa scala evolutiva, minandone le basi stesse».