Di Leonardo Becchetti, Formiche n.17, luglio 2007
Le decisioni e la cultura economica sono così influenti da rappresentare oggi una delle componenti fondamentalidella vita sociale e politica dei nostro Paese. Approfondirei fondamenti di questa cultura dunque non è un problemainterno di una determinata disciplina scientifica, ma unaquestione fondamentale con risvolti immediati e concretiper il nostro modello di vita.
Modelli troppo semplificati
Dalla sua origine fino a pochi anni orsono gli economistihanno costruito tutti i loro modelli e definito tutte le ricette di politica economica sulla base di una concezionedi uomo estremamente semplificata e fondata su ipotesinon direttamente verificate.
La sintesi catturava un elemento molto importante (ladipendenza della felicità personale dalla quantità di beniposseduti e, indirettamente, dalle disponibilità monetarie) ma ne trascurava altri egualmente fondamentali(l'importanza del dovere morale e della vita di relazioniper la felicità personale). È facile comprendere come, se l'attenzione nei confrontidi questi elementi trascurati era assente nelle premessedei modelli, molto difficilmente la stessa sarebbe statapresente nei suggerimenti di politica economica che datali modelli scaturivano.
Ricchezza = felicità, un rapporto più complesso
L’altro grande limite dell'approccio tradizionale è che la felicità individuale veniva fatta risalire unicamente al risultatodelle nostre scelte (in termini di beni acquistati ad esempio)e non alle motivazioni e al percorso che a tali scelte aveva portato. In altri termini è come se a tre persone che sitrovassero a disporre di un chilo di arance venisse attribuitoper ciò stesso, il medesimo livello di soddisfazione indipendentemente dal fatto che il primo le arance le ha rubate, ilsecondo acquistare per sé e il terzo comprare per sostenereun'iniziativa di beneficenza.
Una revisione critica del concetto di “uomo economico”
La grande novità di questi ultimi anni è la possibilità diverificare (ed eventualmente dimostrare i limiti) di questaipotesi restrittiva sulla base dei dati disponibili sulla felicitàdichiarata. Rimandando all'abbondante letteratura in materia per eventuali approfondimenti che, chiariamo subito,esistono sufficienti elementi probanti per ritenere che questistudi siano effettivamente in grado di fornire fotografieattendibili sulla soddisfazione di vita degli intervistati.I numerosissimi lavori empirici effettuati in diversi paesidel mondo e per differenti periodi temporali allargano,come era lecito attendersi, la prospettiva, stimolando glieconomisti ad una revisione critica delle ipotesi restrittivesull'"uomo economico".
Il rapporto tra reddito e felicità
Molti di essi approfondiscono il tema del rapporto trareddito e felicità. Come era lecito arrendersi il reddito èsignificativamente correlato con la felicita in un rapporto di causalità bidirezionale (il reddito genera aumentidi felicità ma le persone con tratti psicologici ereditatiche inducono a maggiore socievolezza e soddisfazionedi vita riescono ad ottenere lavori migliori e più pagati).
Nonostante questo assistiamo al paradosso che il gap di reddito tra paesi sviluppati e paesi in via di svilupponon si traduce in un eguale gap di felicità e a quello cheaumenti di reddito generano aumenti di felicità debolie via via decrescenti.
Per spiegare questi apparenti paradossi gli studiosiindividuano almeno due effetti fondamentali: la rincorsa tra realizzazioni ed aspettative e il ruolo del redditorelativo. Per la prima il livello di soddisfazione ottenutocon il raggiungimento di un reddito più elevato si riducesuccessivamente, a parità di reddito, per un fenomeno diadattamento e per una rincorsa tra le proprie aspirazionie le aspettative. Per il secondo la soddisfazione per il proprio reddito dipende in maniera cruciale dal confrontocon il tenore di vita di quello che per ciascun individuorappresenta il gruppo di riferimento (ovvero quell'insieme di persone con il quale tale individuo tende costantemente a paragonarsi).
Lavoro e prezzi come “indicatori” di felicità”
Gli studi sulla felicità raggiungono conclusioni importanti anche sul tema dei rapporto tra felicità, inflazionee disoccupazione. Scoprendo che, contrariamente adun'ipotesi standard adottata nelle decisioni di politicaeconomica, che calcola l'"indice di miseria" di un Paesecome somma dei tassi percentuali di disoccupazioneed inflazione, attribuendo dunque implicitamente unpeso eguale ai due "mali", la disoccupazione è molto piùdolorosa per gli individui e genera maggiori perdite difelicità e di salute psicofisica.
Meglio poveri che disoccupati
In un recente lavoro Becchetti, Castriota e Giuntella approfondiscono il problema confrontando l'impatto delladisoccupazione e dell'inflazione sulla felicità di un ampiocampione di individui per i paesi dell'Unione europeadal 1975 al 1992. Gli autori dimostrano inoltre che unariduzione (ad esempio dell'uno per cento) del tasso didisoccupazione ha un peso maggiore di un'equivalenteriduzione del tasso d'inflazione. Nello specifico gli individui sono disposti a scambiare una diminuzione dell'unper cento della disoccupazione con un aumento dell'1,6per cento di inflazione mantenendo lo stesso grado disoddisfazione precedente allo scambio.
Disoccupazione in cima alla lista dei fattori di infelicità
Si tratta di un risultato coerente con l'osservazioneche disoccupazione ed inflazione hanno caratteristichesostanzialmente differenti. La disoccupazione è una"malattia" che colpisce una parte della popolazione, maè altrettanto evidente che il suo costo non è sostenuto soltanto dai "contagiati", ma anche dai sani che siritengono a rischio e possono temere di esserlo in futuro.E inflazione è invece un fattore pervasivo che arreca dannia quasi tutta la popolazione anche se la capacità di isolarsi,o addirittura di trarre giovamento dai suoi effetti, è diversada persona a persona a seconda della propria posizione didebitore/creditore in termini reali o nominali.
La vita di relazione
Laltro grande risultato evidenziato dagli studi sullafelicità è quello dell'importanza fondamentale della vitadi relazioni e del successo della stessa ai fini della felicitàindividuale. pressoché tutti gli studi confermano chel'investimento del tempo speso nella vita di relazioni, iltempo dedicato al volontariato e il successo nella vita affettiva sono associati in modo molto robusto e significativo ad una maggiore felicità personale.
Anche in questocaso ci sono evidenze sufficienti per provare cheil rapporto causa-effetto agisce in entrambe le direzioni.Da una parte gli individui che nel loro dna caratterialeevidenziano una maggiore felicità hanno anche unamaggiore propensione ad investire in relazioni e a sviluppare relazioni di successo. Dall'altra parte l'investimentoin relazioni, l'impegno sociale e il matrimonio, sembranoaumentare la felicità individuale mentre fallimenti relazionali (separazione e divorzio) sembrano ridurla.
Leinterconnessioni tra le scelte economiche e fattori non economici
Cosa c'entra tutto questo, ed in particolare i risultati sull'importanza delle relazioni, con l'economia?il nesso fondamentale è che se gli economisti studiano larealtà con l'obiettivo di spiegarla e di fornire suggerimenti atti a migliorarla (suggerimenti che saranno presi molto sul senodalle classi politiche al potere), essi non possono trascurare leinterconnessioni tra le scelte economiche e fattori economicie non che determinano la nostra felicità.Non considerare attentamente il nesso tra sviluppo economico e sostenibilità non solo ambientale ma anche “relazionale"dello stesso rischia infatti di diventare controproducente.
Il disagio mentale incide sul Pil
Un esempio assai emblematico di questo cambiamento di prospettiva sta nell'osservazione che Richard Layard uno dei maggiori ispiratori delle moderne politiche di welfare state, ha effettuato di recente riflettendo sul fatto che il problema del welfare nei paesi ricchi non è tanto e soltanto un problema di povertà materiale quantosoprattutto uno di depressione e di disagio mentale chespesso si accompagna ai casi di marginalità. Per questoLayard conclude acutamente che, per risolvere i problemidegli ultimi, lo Stato può spendere inutilmente molti soldiin costosi sussidi se non affronta anche la questione delledeterminanti della felicità o del suo contrario.
Un nuovo sguardo a tre dimensioni
Recentemente il nuovo leader dei Tory Cameron ha affermato: "è ora di ammettere che nella vita ci sono cosepiù importanti del denaro, ed è ora di concentrare lanostra attenzione non solo sul pil ma anche sul benesseregenerale. Dovremmo pensare non solo a ciò che è beneper le nostre tasche ma anche per i nostri cuori".Un nuovo sguardo a tre dimensioni, in grado di valutarela bontà di una politica sulla base dei criteri dello sviluppo materiale e della sostenibilità ambientale e relazionaleè il futuro della politica. Gli studi sulla felicità rappresentano un supporto conoscitivo fondamentale perquesto nuovo approccio.
Modelli troppo semplificati
Dalla sua origine fino a pochi anni orsono gli economistihanno costruito tutti i loro modelli e definito tutte le ricette di politica economica sulla base di una concezionedi uomo estremamente semplificata e fondata su ipotesinon direttamente verificate.
La sintesi catturava un elemento molto importante (ladipendenza della felicità personale dalla quantità di beniposseduti e, indirettamente, dalle disponibilità monetarie) ma ne trascurava altri egualmente fondamentali(l'importanza del dovere morale e della vita di relazioniper la felicità personale). È facile comprendere come, se l'attenzione nei confrontidi questi elementi trascurati era assente nelle premessedei modelli, molto difficilmente la stessa sarebbe statapresente nei suggerimenti di politica economica che datali modelli scaturivano.
Ricchezza = felicità, un rapporto più complesso
L’altro grande limite dell'approccio tradizionale è che la felicità individuale veniva fatta risalire unicamente al risultatodelle nostre scelte (in termini di beni acquistati ad esempio)e non alle motivazioni e al percorso che a tali scelte aveva portato. In altri termini è come se a tre persone che sitrovassero a disporre di un chilo di arance venisse attribuitoper ciò stesso, il medesimo livello di soddisfazione indipendentemente dal fatto che il primo le arance le ha rubate, ilsecondo acquistare per sé e il terzo comprare per sostenereun'iniziativa di beneficenza.
Una revisione critica del concetto di “uomo economico”
La grande novità di questi ultimi anni è la possibilità diverificare (ed eventualmente dimostrare i limiti) di questaipotesi restrittiva sulla base dei dati disponibili sulla felicitàdichiarata. Rimandando all'abbondante letteratura in materia per eventuali approfondimenti che, chiariamo subito,esistono sufficienti elementi probanti per ritenere che questistudi siano effettivamente in grado di fornire fotografieattendibili sulla soddisfazione di vita degli intervistati.I numerosissimi lavori empirici effettuati in diversi paesidel mondo e per differenti periodi temporali allargano,come era lecito attendersi, la prospettiva, stimolando glieconomisti ad una revisione critica delle ipotesi restrittivesull'"uomo economico".
Il rapporto tra reddito e felicità
Molti di essi approfondiscono il tema del rapporto trareddito e felicità. Come era lecito arrendersi il reddito èsignificativamente correlato con la felicita in un rapporto di causalità bidirezionale (il reddito genera aumentidi felicità ma le persone con tratti psicologici ereditatiche inducono a maggiore socievolezza e soddisfazionedi vita riescono ad ottenere lavori migliori e più pagati).
Nonostante questo assistiamo al paradosso che il gap di reddito tra paesi sviluppati e paesi in via di svilupponon si traduce in un eguale gap di felicità e a quello cheaumenti di reddito generano aumenti di felicità debolie via via decrescenti.
Per spiegare questi apparenti paradossi gli studiosiindividuano almeno due effetti fondamentali: la rincorsa tra realizzazioni ed aspettative e il ruolo del redditorelativo. Per la prima il livello di soddisfazione ottenutocon il raggiungimento di un reddito più elevato si riducesuccessivamente, a parità di reddito, per un fenomeno diadattamento e per una rincorsa tra le proprie aspirazionie le aspettative. Per il secondo la soddisfazione per il proprio reddito dipende in maniera cruciale dal confrontocon il tenore di vita di quello che per ciascun individuorappresenta il gruppo di riferimento (ovvero quell'insieme di persone con il quale tale individuo tende costantemente a paragonarsi).
Lavoro e prezzi come “indicatori” di felicità”
Gli studi sulla felicità raggiungono conclusioni importanti anche sul tema dei rapporto tra felicità, inflazionee disoccupazione. Scoprendo che, contrariamente adun'ipotesi standard adottata nelle decisioni di politicaeconomica, che calcola l'"indice di miseria" di un Paesecome somma dei tassi percentuali di disoccupazioneed inflazione, attribuendo dunque implicitamente unpeso eguale ai due "mali", la disoccupazione è molto piùdolorosa per gli individui e genera maggiori perdite difelicità e di salute psicofisica.
Meglio poveri che disoccupati
In un recente lavoro Becchetti, Castriota e Giuntella approfondiscono il problema confrontando l'impatto delladisoccupazione e dell'inflazione sulla felicità di un ampiocampione di individui per i paesi dell'Unione europeadal 1975 al 1992. Gli autori dimostrano inoltre che unariduzione (ad esempio dell'uno per cento) del tasso didisoccupazione ha un peso maggiore di un'equivalenteriduzione del tasso d'inflazione. Nello specifico gli individui sono disposti a scambiare una diminuzione dell'unper cento della disoccupazione con un aumento dell'1,6per cento di inflazione mantenendo lo stesso grado disoddisfazione precedente allo scambio.
Disoccupazione in cima alla lista dei fattori di infelicità
Si tratta di un risultato coerente con l'osservazioneche disoccupazione ed inflazione hanno caratteristichesostanzialmente differenti. La disoccupazione è una"malattia" che colpisce una parte della popolazione, maè altrettanto evidente che il suo costo non è sostenuto soltanto dai "contagiati", ma anche dai sani che siritengono a rischio e possono temere di esserlo in futuro.E inflazione è invece un fattore pervasivo che arreca dannia quasi tutta la popolazione anche se la capacità di isolarsi,o addirittura di trarre giovamento dai suoi effetti, è diversada persona a persona a seconda della propria posizione didebitore/creditore in termini reali o nominali.
La vita di relazione
Laltro grande risultato evidenziato dagli studi sullafelicità è quello dell'importanza fondamentale della vitadi relazioni e del successo della stessa ai fini della felicitàindividuale. pressoché tutti gli studi confermano chel'investimento del tempo speso nella vita di relazioni, iltempo dedicato al volontariato e il successo nella vita affettiva sono associati in modo molto robusto e significativo ad una maggiore felicità personale.
Anche in questocaso ci sono evidenze sufficienti per provare cheil rapporto causa-effetto agisce in entrambe le direzioni.Da una parte gli individui che nel loro dna caratterialeevidenziano una maggiore felicità hanno anche unamaggiore propensione ad investire in relazioni e a sviluppare relazioni di successo. Dall'altra parte l'investimentoin relazioni, l'impegno sociale e il matrimonio, sembranoaumentare la felicità individuale mentre fallimenti relazionali (separazione e divorzio) sembrano ridurla.
Leinterconnessioni tra le scelte economiche e fattori non economici
Cosa c'entra tutto questo, ed in particolare i risultati sull'importanza delle relazioni, con l'economia?il nesso fondamentale è che se gli economisti studiano larealtà con l'obiettivo di spiegarla e di fornire suggerimenti atti a migliorarla (suggerimenti che saranno presi molto sul senodalle classi politiche al potere), essi non possono trascurare leinterconnessioni tra le scelte economiche e fattori economicie non che determinano la nostra felicità.Non considerare attentamente il nesso tra sviluppo economico e sostenibilità non solo ambientale ma anche “relazionale"dello stesso rischia infatti di diventare controproducente.
Il disagio mentale incide sul Pil
Un esempio assai emblematico di questo cambiamento di prospettiva sta nell'osservazione che Richard Layard uno dei maggiori ispiratori delle moderne politiche di welfare state, ha effettuato di recente riflettendo sul fatto che il problema del welfare nei paesi ricchi non è tanto e soltanto un problema di povertà materiale quantosoprattutto uno di depressione e di disagio mentale chespesso si accompagna ai casi di marginalità. Per questoLayard conclude acutamente che, per risolvere i problemidegli ultimi, lo Stato può spendere inutilmente molti soldiin costosi sussidi se non affronta anche la questione delledeterminanti della felicità o del suo contrario.
Un nuovo sguardo a tre dimensioni
Recentemente il nuovo leader dei Tory Cameron ha affermato: "è ora di ammettere che nella vita ci sono cosepiù importanti del denaro, ed è ora di concentrare lanostra attenzione non solo sul pil ma anche sul benesseregenerale. Dovremmo pensare non solo a ciò che è beneper le nostre tasche ma anche per i nostri cuori".Un nuovo sguardo a tre dimensioni, in grado di valutarela bontà di una politica sulla base dei criteri dello sviluppo materiale e della sostenibilità ambientale e relazionaleè il futuro della politica. Gli studi sulla felicità rappresentano un supporto conoscitivo fondamentale perquesto nuovo approccio.
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