Qualche tempo fa, in pieno centro storico di Napoli, fecero notizia i due “panari”, ovvero delle ceste di vimini, con la scritta "chi può metta, chi non può prenda". Anche in questo periodo vediamo fuori dai supermercati dei cesti di varia fattura. L’intento del gesto è chiaro: si tratta di un invito a prendersi cura anche di chi, in questo periodo particolare, è maggiormente in difficoltà. Nel giro di poco tempo, la foto del cosiddetto panaro solidale è stata ripresa da vari siti di notizie ed è stata condivisa da tante persone sui social. In molti si sono quindi chiesti: ma da dove ha origine la frase "chi può metta, chi non può prenda"? La risposta è semplice: la scritta è una frase di San Giuseppe Moscati, medico e santo campano, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, le cui spoglie sono conservate nella chiesa del Gesù Nuovo, non lontano da dove sono state calate le due ceste.
Moscati si prodigava a curare e visitare i poveri senza chiedere nulla, davanti al suo studio c'era il suo cappello con un cartello che recitava proprio così. Ancora oggi nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, dove si venera il suo corpo e c'è annesso il suo studio medico, davanti la porta si trova il suo cappello che reca ancora questa scritta.
Ma chi era San Giuseppe Moscati e perché è stata scelta una sua frase da accostare a questo gesto di solidarietà? La risposta la possiamo ritrovare nella vita del santo, di cui forniamo un riassunto. Una storia più completa si può trovare sul sito ufficiale della Santa Sede.
Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, ma visse buona parte della sua vita a Napoli. Fin da ragazzo, dimostrò una sensibilità per le sofferenze fisiche del prossimo, a partire dal fratello Alberto, rimasto invalido per via di una caduta da cavallo, di cui si prenderà sempre cura. È probabilmente per questo che intraprese gli studi di medicina che concluse con la laurea nel 1903.
Giuseppe Moscati, si distinse da subito per la sua dedizione a partire dai primi concorsi, ma soprattutto nell'esercizio della professione che cominciò a vivere come una missione. Infatti insegnerà, poi, ai suoi studenti a trattare il dolore: «non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità». Un altro esempio di questa sua disposizione è quello del suo coinvolgimento in prima persona dello sgombero dell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del Vesuvio nel 1906.
Il suo curriculum ospedaliero lo ha visto coadiutore all'ospedale degl'Incurabili, in servizio presso il laboratorio dell'ospedale di malattie infettive “Domenico Cotugno”, come aiuto ordinario degli Ospedali Riuniti di Napoli e successivamente, nella stessa struttura, come coadiutore ordinario, medico ordinario e infine primario. A queste attività accosterà quelle di ricerca, che lo porteranno a pubblicare un grande numero di articoli largamente apprezzati, e di insegnamento, prima come docente di Chimica Fisiologica, poi come docente di Medicina Generale.
Nonostante la sua attività scientifica Giuseppe Moscati non visse mai alcun contrasto tra la sua fede cristiana e la scienza. Infatti il medico e santo affermava di vedere nei malati e nei poveri «le figure di Gesù Cristo, anime immortali, divine, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi» e concepiva la sua attività di medico e scienziato come uno strumento per servire gli ultimi. È in questo contesto che diventa celebre la citazione «chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda».
Poco dopo la sua morte nel 1927 è cominciata una causa di canonizzazione che si è conclusa il 25 ottobre 1987, giorno in cui è stato canonizzato da san Giovanni Paolo II.
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