di Flavio Felice, prefazione al libro di Royale, “Il Dio che non ha fallito”, settembre 2008
Prefazione di Flavio Felice al libro di Robert Royal, Il Dio che non ha fallito. Come la religione ha costruito e sostenuto l’Occidente (Ed. Rubbettino).
L’autore e il suo lavoro su Ragione e Fede
«L’impulso religioso, la domanda di senso che trascende lo spazio ristretto dell’esistenza empirica in questo mondo, ha sempre rappresentato una dimensione dell’umanità (questa non è una affermazione teologica, ma antropologica – anche un filosofo agnostico o un ateo potrebbe condividerla). Ci vorrebbe una sorta di mutazione genetica per estinguere questo impulso verso il bene». Con questo epitaffio, tratto dal volume del sociologo Peter Berger, The Desecularization of the World: A Global Overview, il filosofo statunitense Robert Royal apre questo suo importante saggio dall’emblematico titolo: Il Dio che non ha fallito. Come la religione ha costruito e sostenuto l’Occidente. Robert Royal è un autore significativo nel panorama culturale nordamericano. È stato per anni vicepresidente di uno dei maggiori think-tank di Washington, l’Ethics and Public Policy Center e da qualche anno ha fondato e presiede un nuovo think-tank, il cui nome rinvia immediatamente alla tesi centrale del libro che mi onoro di presentare: “Faith & Reason Institute”. Il Faith & Reason Institute è impegnato a diffondere una cultura che promuova tanto la fede come la ragione, in quanto dimensioni dell’umana esistenza. Le attività dell’Istituto spaziano dall’economia alla politica, dalla scienza alla tecnologia, dall’ambiente alla bioetica, avendo come prospettiva l’insegnamento dell’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio.
Qual è l’avvenire della religione in Occidente?
Il libro di Royal tenta di evidenziare un problema che è di ordine esistenziale, politico, oltre che storico: qual è l’avvenire della religione, e in modo particolare del Cristianesimo, tanto in Europa quanto nella realtà culturale e politica dell’Occidente? Si tratta di una domanda ineludibile che mai come oggi sta assumendo i caratteri di una disputa culturale; si pensi al dibattito sull’introduzione nel Preambolo della Costituzione europea del riferimento alle radici cristiane, ovvero all’aspra dialettica tra chi sostiene laicamente la legittimità da parte dei credenti di intervenire nell’arena pubblica e chi, in nome di un’altra idea di laicità, negherebbe ai credenti lo stesso diritto. Il problema viene affrontato dal nostro Autore con grande rigore teorico e attenta cura storiografica, giungendo ad affermare la tesi che, sebbene possa apparire contro ogni evidenza – un’evidenza alla quale ci si approssima con una certa superficialità – il Cristianesimo potrebbe rappresentare una forza determinante per la civiltà occidentale del XXI secolo.
Il ruolo del cristianesimo nello sviluppo delle istituzioni politiche
La tesi, proprio perché tenta di non cedere a superficiali approssimazioni, è argomentata attraverso una poderosa ricostruzione storica del ruolo giocato dal Cristianesimo stesso nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni politiche e culturali tipiche delle moderne società occidentali. Il libro è suddiviso in nove capitoli, nei quali l’Autore affronta le questioni inerenti la domanda religiosa dell’uomo dall’antichità classica fino ai nostri giorni, passando per la complessità (la poliarchia) tipicamente medioevale, le prime forme di organizzazione rinascimentale, la rottura intervenuta con le diverse riforme protestanti, e giunge fino ai tentativi di sistematizzazione illuministica, nelle sue versioni continentali e anglosassoni. Sono proprio questi ultimi tentativi a produrre le rivoluzioni che hanno segnato i contorni della modernità, o forse sarebbe più corretto parlare di contorni delle diverse forme di modernità, così diverse tra di loro come diversi sono stati gli avvenimenti rivoluzionari dai quali, in parte, possiamo affermare che siano scaturite. Una modernità, dunque, che appare anch’essa plurale e irriducibile a un unico schema logico, il cui archetipo antropologico andrebbe da W. Penn ad A. Hamilton, da T. Jefferson a M. Robespierre.
La morte di Dio: disprezzo dell’umanità
Il libro procede con una rigorosa riflessione sul secolo appena trascorso, mettendo il dito nella ferita ancora aperta dell’orrore dei totalitarismi di destra e di sinistra che abbiamo conosciuto nel cuore della cristianità e che talvolta ci illudiamo di esserci buttati dietro le spalle una volta per tutte. Accanto alla denuncia delle culture che hanno proclamato la morte di Dio e delle ideologie che, in forza di quella dichiarazione di morte, hanno manifestato anche il disprezzo per l’umanità (un disprezzo che è giunto fino a concepire lo sterminio per ragioni etniche, religiose, politiche, ecc.), Royal riafferma con forza la matrice di quelle identità culturali che hanno rappresentato un pensiero e un’azione sociale a difesa della persona. Egli si riferisce alla tradizione filosofica del personalismo e in particolare a quegli uomini che hanno avuto il merito, nel bel mezzo della barbarie del Novecento, di far grande l’idea di “Democrazia Cristiana”.
Gli abusi del “razionalismo”
L’Autore individua un ponte ideale che unisce le due sponde dell’Atlantico (basti pensare a J. Maritain e L. Sturzo), dato proprio dalla elaborazione di una cultura politica pensata come argine contro gli abusi del “razionalismo”. In tale prospettiva andrebbe letta la distinzione operata da Sturzo tra lo spirito rivoluzionario statunitense del 1776 e quello che, di lì a pochi decenni, avrebbe animato i rivoluzionari francesi. In un articolo pubblicato il 18 marzo 1959 ne «Il Giornale d’Italia », il prete di Caltagirone, poco prima di morire, analizza la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776. Sturzo osserva come in questo documento i Padri fondatori abbiano fatto esplicito riferimento al Creatore, il quale, oltre ad aver creato gli uomini tutti uguali, fece loro dono di determinati diritti inalienabili – «di per se stessi evidenti» – quali la vita, la libertà e la capacità di perseguire la felicità, conferendo in tal modo un’inequivocabile origine cristiana al loro atto di liberazione e di secessione dalla Madrepatria. Accanto a tale importantissimo documento, Sturzo colloca la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino fatta dai rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale (1789). Di questo secondo atto egli riporta i primi quattro articoli, evidenziando il fatto che, benché dal punto di vista dell’ordine politico e civile i due documenti si discostino di poco l’uno dall’altro, nella Dichiarazione dei Diritti del popolo francese, a differenza della Dichiarazione d’Indipendenza dei coloni americani, manca qualsiasi riferimento al Creatore, mentre ci si affida agli auspici dell’“Essere Supremo”, confessando in tal modo il proprio carattere “a-cristiano”. Scrive Sturzo: «Gli americani non rinunziarono alla fede e l’affermarono; i francesi implicitamente vi rinunziarono e l’offesero, pur parlando gli uni e gli altri della stessa concezione e arrivando alle stesse conclusioni; i primi perciò fissarono le basi dello Stato libero e moderno, s’intende con tutte le difficoltà, gli errori e le manchevolezze che la storia registra (pensare alla schiavitù dei negri); i secondi, pur basandosi sugli stessi elementi etico-giuridici, consacrarono una rivoluzione razionalista che dopo poco sboccò in un impero dittatoriale; rivoluzione e impero i quali, implicitamente od esplicitamente, negarono quei diritti così solennemente proclamati». Un abuso della ragione che ha finito per ridurre lo spazio della coscienza individuale a favore delle mutevoli e terrificanti ragioni di Stato, di razza e di partito, ovvero verso una progressiva riduzione dei margini della libertà, portando in molti casi al divieto stesso di professare pubblicamente la propria fede, con ciò negando l’esercizio della libertà personale anche nel campo della partecipazione politica e dell’agire economico, e inferendo un colpo mortale al riconoscimento della dignità della persona umana.
Il contributo del cristianesimo alla corretta organizzazione sociale
Secondo Royal, l’edificazione di questo ponte che ha unito idealmente liberali continentali come A. de Tocqueville e Lord Acton prima e filosofi e sociologi personalisti come J. Maritain e L. Sturzo in seguito, ai teorici del federalismo e del liberalismo classico statunitense, è stata formalizzata da Pio XI nel 1931 con l’enciclica sociale Quadragesimo anno, dove, probabilmente per la prima volta nella storia, viene elaborato in forma sistematica il principio di sussidiarietà orizzontale. Il suddetto principio incontra la tradizione del liberalismo classico – quanto meno quello di matrice statunitense – nelle nozioni di federalismo, rule of law e bilanciamento dei poteri. Non a caso, qualche decennio prima, fu proprio A. Lincoln ad affermare: «L’oggetto legittimo del governo è realizzare quello che una comunità avrebbe dovuto fare, ma che non è stata in grado di fare, o quello che i singoli non possono fare da soli, facendo appello alle proprie capacità. Ma il governo dovrebbe evitare di interferire in tutto quello che la gente può e sa fare da sé». Di qui il richiamo di Royal al contributo del Cristianesimo – storicamente innegabile e teoricamente rilevante – all’esercizio della tradizionale virtù della saggezza pratica e della ragione prudenziale all’interno di una più corretta comprensione della natura e della struttura dell’ordine sociale, al centro del quale c’è il fondamentale ruolo svolto dalle libere persone e dall’associazionismo nel pieno rispetto del principio logico, morale e politico-economico della sussidiarietà.
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