tratto dalla Relazione di Alessandro Rosina alla Conferenza Nazionale della Famiglia di Firenze, 24-26 maggio 2007
In trent’anni si è dimezzato il numero dei bambini che nascono
Parlare di “Famiglia e Generazioni”, significa in primo luogo parlare del “generare”, ovvero del fare figli. A metà anni Sessanta, in pieno baby boom, nascevano nel nostro paese un milione di bambini l’anno. Ora ne facciamo circa 500 mila (si sale attorno a 550 mila con le nascite straniere). In media un figlio ed un terzo per donna.
Persistente bassa fecondità
La specificità italiana più che la “bassa fecondità”, è ora la “persistente bassa fecondità”. Siamo infatti uno dei paesi al mondo che da più lungo tempo soffre di accentuata denatalità. Viene quasi da pensare che l’Italia sia caduta vittima di un incantesimo. Facciamo meno figli non solo rispetto agli altri paesi occidentali, ma anche rispetto a quanti sarebbero auspicabili per un adeguato ed equilibrato sviluppo economico e sociale del nostro paese. Se chi ci ha governato negli ultimi decenni avesse avuto la possibilità di decidere quanti figli far fare agli italiani, avrebbe optato per un valore attorno a due. Ma ciò vale anche per le coppie stesse: se si chiede agli italiani quanti figli desidererebbero fare, la media risulta di poco superiore a due (come tutte le indagini confermano).
Meno figli di quelli desiderati
Com’è allora potuto accadere che in questi decenni abbiamo fatto meno figli non solo rispetto agli altri paesi, ma anche rispetto a quanto desiderato a livello micro ed auspicato a livello macro? Chi ci ha impedito di fare quello che avremmo voluto fare (riuscendo in questa impresa meglio di qualsiasi altro paese)? Nessun incantesimo, ovviamente. Abbiamo fatto tutto da soli. “Continuiamo così, facciamoci del male”, direbbe Nanni Moretti. Una frase che evidentemente ritrae bene il modello di sviluppo italiano negli ultimi decenni, sotto molti punti di vista.
Sei milioni di figli in meno
Proprio quest’anno celebriamo il trentennale dalla discesa della fecondità italiana sotto la soglia fatidica dei 2 figli per donna. Correva l’anno 1977 ed in Italia nascevano circa 800 mila bambini. Cosa sarebbe successo se fossimo rimasti attorno a tale livello? Il conto è presto fatto: nell’ipotetica situazione di mantenimento fino ad oggi di tale produzione annua di figli, ci sarebbero adesso nel nostro paese circa 6 milioni di figli in più(1). Questo è l’ordine di grandezza del numero di bambini che l’incantesimo, nel quale siamo caduti negli ultimi trent’anni, ha fatto sparire. Vale a dire che, in un mondo ideale nel quale si fanno tanti figli quanti le persone desiderano e quanto auspicato a livello di sviluppo sociale ed economico, avremmo avuto 6 milioni di bambini in più.
L’Italia è uno dei paesi in cui la denatalità è più forte
In realtà quasi nessun paese occidentale ha mantenuto negli ultimi trent’anni un livello di fecondità media attorno ai due figli. Ma l’Italia è tra i paesi che più si sono allontanati da tale situazione ideale. E’ vero anche che nel frattempo abbiamo compensato il deficit di natalità “accogliendo immigrati”, ma negli ultimi trent’anni ciò è avvenuto ancor di più negli altri grandi paesi europei. I termini relativi della questione quindi non cambiano.
Lo svuotamento della popolazione in età lavorativa
Come conseguenza dell’accentuata denatalità conosceremo nei prossimi decenni uno svuotamento della popolazione in età lavorativa maggiore rispetto agli altri paesi. Da qui al 2040 avremo in particolare 7 milioni di anziani in più e 7 milioni di persone in età lavorativa in meno. Il rapporto tra anziani pensionati e persone occupate è destinato a diventare uno dei peggiori al mondo. Con implicazioni negative rilevanti, come documentato da recenti ricerche Ocse, in termini di crescita economica e di benessere individuale2.
Il paese dei figli unici
Più che altrove gli italiani si fermano al figlio unico. Questo non significa che la maggior parte delle coppie italiane si limiti ad avere un solo figlio: prevale ancora nel nostro paese la famiglia con due bambini. E’ vero però che, rispetto agli altri paesi, il numero di coppie italiane con un solo figlio tende ad essere relativamente maggiore, anche a parità di fecondità finale. I dati sui comportamenti riproduttivi risultano inoltre coerenti con quelli relativi alle intenzioni. Risultato che fa sospettare come, accanto ai fattori di tipo strutturale ed economico, ci possa essere negli italiani anche un atteggiamento maggiormente accondiscendente verso il fermarsi al figlio unico.
Alcuni fattori culturali
Una interpretazione di ordine culturale molto citata è quella del paradosso che in “Italia si fanno pochi figli perché gli si vuole troppo bene”(3). Il modo di essere famiglia e di intendere i legami familiari è per alcuni importanti aspetti diverso rispetto a quanto vale in altre aree del mondo occidentale. Esistono differenze antropologicamente radicate, come messo in luce da vari recenti studi(4). In particolare, più forte ed intenso risulta il rapporto tra genitori e figli. Ciò porterebbe più facilmente i genitori italiani a considerare i figli quasi come un proprio prolungamento, e a considerare i loro insuccessi come propri fallimenti. A sacrificarsi di più per quello che considerano il loro bene, e per migliorare il loro destino sociale. Tenderebbero quindi ad avere meno figli per “non fargli mancare nulla”. Oltre alla bassa fecondità, ciò in parte spiegherebbe anche la maggior disponibilità ad ospitarli a lungo nella famiglia di origine, ed il continuo interscambio affettivo e strumentale anche dopo l’uscita dalla casa dei genitori.
Le carenze negli aiuti pubblici
Questa propensione particolare dei genitori italiani ad assumere un ruolo particolarmente protettivo e propulsivo nei confronti dei figli e del loro destino sociale, va letta congiuntamente alle specificità del sistema di welfare che caratterizza il nostro paese. Le carenze in termini di aiuti pubblici rendono infatti irrinunciabile per i giovani il sostegno di padri e madri. Il fatto che la famiglia sia da sempre l’unico vero “ammortizzatore sociale”, aumenta infatti la loro dipendenza dai genitori e fa rivestire ai genitori un ruolo cruciale nel proteggerli dai rischi e nell’aiutarli a cogliere le migliori opportunità nella costruzione del proprio futuro. La particolare combinazione tra welfare pubblico carente e alto valore dato dai genitori ai figli, favorisce, secondo questa lettura interpretativa, una esasperata riduzione della “quantità” a favore della “qualità”.
Avere figli è economicamente penalizzante
Al di là degli aspetti di tipo culturale, è in ogni caso ben vero che il nostro paese è tra quelli nei quali è economicamente più penalizzante avere figli. La quota di spesa per protezione sociale che va alla famiglia è una delle più basse (meno della metà della media europea), ed il rischio di povertà delle famiglie con figli (soprattutto oltre il secondo) è uno dei più elevati. I minori aiuti pubblici non sono però disgiunti da aspetti culturali: dove si investe di più sulle famiglie, i figli sono maggiormente considerati un valore sociale e meno un bene privato.
Difficile conciliazione occupazione femminile e famiglia
A mantenere inoltre bassa la fecondità è la difficoltà di conciliazione in Italia tra occupazione femminile e famiglia. Il nostro paese presenta nel quadro dei paesi occidentali, una particolare combinazione di bassi livelli del numero di figli per donna e di bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Conciliazione più difficile rispetto agli altri paesi per la minor presenza sul territorio di servizi di cura per l’infanzia, per la minor possibilità di ricorrere al part-time e ad usare in modo flessibile l’orario di lavoro, ma anche per la minor condivisione maschile dei compiti di cura e delle attività domestiche e familiari.
Note
1 Un calcolo più rigoroso andrebbe fatto non tenendo fisse le 800 mila nascite del 1977 (anno in cui il numero medio di figli per donna è sceso sotto la soglia dei due), ma mantenendo fisso il tasso di fecondità totale pari a due dal 1977 ad oggi. L’esercizio contabile effettuato esprime comunque l’ordine di grandezza delle nascite “mancate”.
2 “Ageing on this scale would place substantial pressures on public finances and reduce growth in living standards. For instance, on the basis of unchanged participation patterns and productivity growth, the growth of GDP per capita in the OECD area would decline to around 1.7 % per year over the next three decades, about 30% less than its rate between 1970 and 2000” (OECD, Live Longer, Work Longer, OECD Publishing, Paris, pg. 9, 2006).
3 Suggerita e sviluppata in particolare in alcuni lavori di Rossella Palomba e di Gianpiero Dalla Zuanna.
4 Si veda ad esempio quelli raccolti in G. Dalla Zuanna e G. Micheli (a cura di), Strong family and low fertility: a paradox?, Kluwer Academic Press, Dordrecht, 2004.
Parlare di “Famiglia e Generazioni”, significa in primo luogo parlare del “generare”, ovvero del fare figli. A metà anni Sessanta, in pieno baby boom, nascevano nel nostro paese un milione di bambini l’anno. Ora ne facciamo circa 500 mila (si sale attorno a 550 mila con le nascite straniere). In media un figlio ed un terzo per donna.
Persistente bassa fecondità
La specificità italiana più che la “bassa fecondità”, è ora la “persistente bassa fecondità”. Siamo infatti uno dei paesi al mondo che da più lungo tempo soffre di accentuata denatalità. Viene quasi da pensare che l’Italia sia caduta vittima di un incantesimo. Facciamo meno figli non solo rispetto agli altri paesi occidentali, ma anche rispetto a quanti sarebbero auspicabili per un adeguato ed equilibrato sviluppo economico e sociale del nostro paese. Se chi ci ha governato negli ultimi decenni avesse avuto la possibilità di decidere quanti figli far fare agli italiani, avrebbe optato per un valore attorno a due. Ma ciò vale anche per le coppie stesse: se si chiede agli italiani quanti figli desidererebbero fare, la media risulta di poco superiore a due (come tutte le indagini confermano).
Meno figli di quelli desiderati
Com’è allora potuto accadere che in questi decenni abbiamo fatto meno figli non solo rispetto agli altri paesi, ma anche rispetto a quanto desiderato a livello micro ed auspicato a livello macro? Chi ci ha impedito di fare quello che avremmo voluto fare (riuscendo in questa impresa meglio di qualsiasi altro paese)? Nessun incantesimo, ovviamente. Abbiamo fatto tutto da soli. “Continuiamo così, facciamoci del male”, direbbe Nanni Moretti. Una frase che evidentemente ritrae bene il modello di sviluppo italiano negli ultimi decenni, sotto molti punti di vista.
Sei milioni di figli in meno
Proprio quest’anno celebriamo il trentennale dalla discesa della fecondità italiana sotto la soglia fatidica dei 2 figli per donna. Correva l’anno 1977 ed in Italia nascevano circa 800 mila bambini. Cosa sarebbe successo se fossimo rimasti attorno a tale livello? Il conto è presto fatto: nell’ipotetica situazione di mantenimento fino ad oggi di tale produzione annua di figli, ci sarebbero adesso nel nostro paese circa 6 milioni di figli in più(1). Questo è l’ordine di grandezza del numero di bambini che l’incantesimo, nel quale siamo caduti negli ultimi trent’anni, ha fatto sparire. Vale a dire che, in un mondo ideale nel quale si fanno tanti figli quanti le persone desiderano e quanto auspicato a livello di sviluppo sociale ed economico, avremmo avuto 6 milioni di bambini in più.
L’Italia è uno dei paesi in cui la denatalità è più forte
In realtà quasi nessun paese occidentale ha mantenuto negli ultimi trent’anni un livello di fecondità media attorno ai due figli. Ma l’Italia è tra i paesi che più si sono allontanati da tale situazione ideale. E’ vero anche che nel frattempo abbiamo compensato il deficit di natalità “accogliendo immigrati”, ma negli ultimi trent’anni ciò è avvenuto ancor di più negli altri grandi paesi europei. I termini relativi della questione quindi non cambiano.
Lo svuotamento della popolazione in età lavorativa
Come conseguenza dell’accentuata denatalità conosceremo nei prossimi decenni uno svuotamento della popolazione in età lavorativa maggiore rispetto agli altri paesi. Da qui al 2040 avremo in particolare 7 milioni di anziani in più e 7 milioni di persone in età lavorativa in meno. Il rapporto tra anziani pensionati e persone occupate è destinato a diventare uno dei peggiori al mondo. Con implicazioni negative rilevanti, come documentato da recenti ricerche Ocse, in termini di crescita economica e di benessere individuale2.
Il paese dei figli unici
Più che altrove gli italiani si fermano al figlio unico. Questo non significa che la maggior parte delle coppie italiane si limiti ad avere un solo figlio: prevale ancora nel nostro paese la famiglia con due bambini. E’ vero però che, rispetto agli altri paesi, il numero di coppie italiane con un solo figlio tende ad essere relativamente maggiore, anche a parità di fecondità finale. I dati sui comportamenti riproduttivi risultano inoltre coerenti con quelli relativi alle intenzioni. Risultato che fa sospettare come, accanto ai fattori di tipo strutturale ed economico, ci possa essere negli italiani anche un atteggiamento maggiormente accondiscendente verso il fermarsi al figlio unico.
Alcuni fattori culturali
Una interpretazione di ordine culturale molto citata è quella del paradosso che in “Italia si fanno pochi figli perché gli si vuole troppo bene”(3). Il modo di essere famiglia e di intendere i legami familiari è per alcuni importanti aspetti diverso rispetto a quanto vale in altre aree del mondo occidentale. Esistono differenze antropologicamente radicate, come messo in luce da vari recenti studi(4). In particolare, più forte ed intenso risulta il rapporto tra genitori e figli. Ciò porterebbe più facilmente i genitori italiani a considerare i figli quasi come un proprio prolungamento, e a considerare i loro insuccessi come propri fallimenti. A sacrificarsi di più per quello che considerano il loro bene, e per migliorare il loro destino sociale. Tenderebbero quindi ad avere meno figli per “non fargli mancare nulla”. Oltre alla bassa fecondità, ciò in parte spiegherebbe anche la maggior disponibilità ad ospitarli a lungo nella famiglia di origine, ed il continuo interscambio affettivo e strumentale anche dopo l’uscita dalla casa dei genitori.
Le carenze negli aiuti pubblici
Questa propensione particolare dei genitori italiani ad assumere un ruolo particolarmente protettivo e propulsivo nei confronti dei figli e del loro destino sociale, va letta congiuntamente alle specificità del sistema di welfare che caratterizza il nostro paese. Le carenze in termini di aiuti pubblici rendono infatti irrinunciabile per i giovani il sostegno di padri e madri. Il fatto che la famiglia sia da sempre l’unico vero “ammortizzatore sociale”, aumenta infatti la loro dipendenza dai genitori e fa rivestire ai genitori un ruolo cruciale nel proteggerli dai rischi e nell’aiutarli a cogliere le migliori opportunità nella costruzione del proprio futuro. La particolare combinazione tra welfare pubblico carente e alto valore dato dai genitori ai figli, favorisce, secondo questa lettura interpretativa, una esasperata riduzione della “quantità” a favore della “qualità”.
Avere figli è economicamente penalizzante
Al di là degli aspetti di tipo culturale, è in ogni caso ben vero che il nostro paese è tra quelli nei quali è economicamente più penalizzante avere figli. La quota di spesa per protezione sociale che va alla famiglia è una delle più basse (meno della metà della media europea), ed il rischio di povertà delle famiglie con figli (soprattutto oltre il secondo) è uno dei più elevati. I minori aiuti pubblici non sono però disgiunti da aspetti culturali: dove si investe di più sulle famiglie, i figli sono maggiormente considerati un valore sociale e meno un bene privato.
Difficile conciliazione occupazione femminile e famiglia
A mantenere inoltre bassa la fecondità è la difficoltà di conciliazione in Italia tra occupazione femminile e famiglia. Il nostro paese presenta nel quadro dei paesi occidentali, una particolare combinazione di bassi livelli del numero di figli per donna e di bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Conciliazione più difficile rispetto agli altri paesi per la minor presenza sul territorio di servizi di cura per l’infanzia, per la minor possibilità di ricorrere al part-time e ad usare in modo flessibile l’orario di lavoro, ma anche per la minor condivisione maschile dei compiti di cura e delle attività domestiche e familiari.
Note
1 Un calcolo più rigoroso andrebbe fatto non tenendo fisse le 800 mila nascite del 1977 (anno in cui il numero medio di figli per donna è sceso sotto la soglia dei due), ma mantenendo fisso il tasso di fecondità totale pari a due dal 1977 ad oggi. L’esercizio contabile effettuato esprime comunque l’ordine di grandezza delle nascite “mancate”.
2 “Ageing on this scale would place substantial pressures on public finances and reduce growth in living standards. For instance, on the basis of unchanged participation patterns and productivity growth, the growth of GDP per capita in the OECD area would decline to around 1.7 % per year over the next three decades, about 30% less than its rate between 1970 and 2000” (OECD, Live Longer, Work Longer, OECD Publishing, Paris, pg. 9, 2006).
3 Suggerita e sviluppata in particolare in alcuni lavori di Rossella Palomba e di Gianpiero Dalla Zuanna.
4 Si veda ad esempio quelli raccolti in G. Dalla Zuanna e G. Micheli (a cura di), Strong family and low fertility: a paradox?, Kluwer Academic Press, Dordrecht, 2004.