Cosa pensavano dell’omosessualità nell’impero romano e nell’antica Grecia?

di Sara Maddaloni, 1 marzo 2024

Nelle civiltà greca e romana i rapporti tra persone dello stesso sesso erano sicuramente diffusi nelle classi più ricche. Eppure sia l’omosessualità sia la bisessualità di cui si parla nel ventunesimo secolo, come spiega Yasmina Pani, non esistevano: sebbene fosse diffusa la consapevolezza che ci fossero uomini e donne attratti dal proprio genere, non esisteva il concetto di orientamento sessuale né di coppia con persone dello stesso sesso. 

I rapporti omosessuali nel mondo greco e romano

Nell’antica grecia i rapporti omosessuali (in particolar modo quelli tra uomini) non avevano natura di relazioni sentimentali ed erano per lo più codificati. Dovevano coinvolgere persone di età differenti, ovvero un uomo adulto e un ragazzo. Il primo, definito “erastes” aveva il ruolo attivo e assumeva la veste di guida del giovane “eromenos”, ovvero colui che viene amato, che di conseguenza svolgeva il ruolo passivo. Non essendo possibile che due persone compissero lo stesso ruolo, non esistevano rapporti omosessuali tra coetanei. 

L'eromenos accettava di subire queste pratiche, non perché ne traeva godimento da un punto di vista sessuale, ma per dimostrare gratitudine nei confronti dell’erastes che gli impartiva degli insegnamenti. 

Tra i greci, quindi, questo tipo di rapporto aveva funzione di rito di passaggio: una volta compiuto, infatti, il fanciullo poteva entrare nel mondo adulto e ricoprire il ruolo di erastes.  

Similmente avveniva a Roma. I cittadini potevano avere relazioni (anche omosessuali) al di fuori del matrimonio purché la controparte fosse uno schiavo o di rango inferiore: non poteva essere un civis perché ricoprire il ruolo passivo significava mancare di virilità e ciò era inaccettabile per un cittadino romano.

Nonostante ciò, è necessario tenere a mente che questi uomini erano spesso sposati e avevano comunque dei rapporti con le donne. Nell’impero romano, infatti, il matrimonio, esclusivamente eterosessuale, avveva grande importanza poichè sulla famiglia si reggeva tutta la società e il pater familias doveva avere la certezza di una discendenza. 

L’ omosessualità nell’arte e nella letteratura 

A dimostrazione del fatto che i rapporti omosessuali fossero ampiamente diffusi nelle civiltà greca e romana ci sono numerose rappresentazioni artistiche. 

Nell'arte figurativa l’eromenos era per lo più femminilizzato: raffigurato come un ragazzo molto giovane e di corporatura esile, non aveva quasi mai le fattezze degli uomini adulti e il membro virile era sempre di dimensioni molto piccole. L’erastes, al contrario, possedeva una grande virilità: i suoi genitali erano spesso e volentieri sopra sviluppati, di dimensioni inverosimili.   

Queste interpretazioni erano frutto di una simbologia legata al culto del dio Priapo, divinità dell'istinto sessuale e della forza generativa maschile, e quindi della fecondità della natura.

Molto comune era anche trattare temi legati all’omosessualità, e alla sessualità in generale, in componimenti letterari. Nella tradizione romana, infatti, il “motto arguto” e l'insulto venivano largamente usati nella commedia e nella satira. Ne sono un esempio i carmina di Catullo dedicati al giovane Giovenzio dagli occhi di miele e gli epigrammi con i quali Marziale derideva le prestazioni e l'aspetto fisico di molti fanciulli. 

Questo modo di fare poesia, però, non è indice di una società omofoba. In passato non era diffuso il concetto di omosessualità che è presente al giorno d’oggi: questi insulti erano visti come semplici scherzi tra amici e non è possibile prenderli alla lettera. 

 

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