Elaborazione di documentazione.info da Daily Telegraph, Times, Mercatornet e Avvenire
E’ arrivata la notizia che molti aspettavano: è possibile ottenere cellule staminali senza dover ricorrere all’utilizzo di embrioni. Due diverse ricerche, una americana del prof. Thomson, dell’univerità del Wisconsin-Madison e l’altra giapponese del prof. Yamanaka, dell’università di Tokyo, pubblicate sulle riviste scientifiche “Science” e “Cell”.
I due ricercatori sono arrivati per due vie diverse allo stesso scopo: hanno ottenuto staminali modificando il patrimonio genetico di cellule della pelle, introducendo nel DNA quattro geni che sono attivi solo durante lo sviluppo embrionale. Risultato: le cellule sono regredite fino a tornare allo stato di cellule staminali, potenzialmente pluripotenti. Queste cellule un giorno potrebbero essere riprogrammate per formare vari tipi di tessuto proveniendo dallo stesso paziente e quindi evitando gli attuali problemi di rigetto del sistema immunitario.
La notizia è epocale. Infatti è stata riportata dal Times in prima pagina come “brakethrough”. D’altronde era stata anticipata già qualche giorno prima, quando il The Daily Telegraph aveva riportato la notizia che Ian Wilmut, il papà della pecora clonata Dolly, avrebbe deciso di abbandonare la sperimentazione sugli embrioni per seguire la nuova tecnica del prof. Yamanaka più efficace nell’ottenere cellule staminali e meno problematica dal punto di vista etico.
La notizia è uno scossone in particolare per la ricerca sulla clonazione terapeutica. Ma è uno scossone anche per i milioni di dollari che, sopratutto negli Stati Uniti, sono investiti per la ricerca in questo settore. L’elargizione di questi fondi aveva già incominciato a scricchiolare di fronte alla scarsità di risultati - non uno scientificamente attendibile sulle concrete applicazioni terapeutiche in 10 anni.
Lo fa sapere Michael Cook dalle pagine di Mercatornet.net il 17 novembre. L’editorialista riporta che l’ultimo risultato attendibile sulla funzionalità della tecnica risale al 2002, quando si dimostrò che la clonazione terapeutica poteva funzionare sui topi. In quel caso però le cellule clonate si dimostrarono incompatibili con il sistema immunitario dei “pazienti” e da allora, in cinque anni nessuno, nemmeno lo stesso autore della ricerca, è più riuscito a fornire un’evidenza sperimentale che fosse possibile effettuare una clonazione terapeutica immunocompatibile.
Non solo, Cook riporta anche che il clima di iper-competizione dovuto alla grande quantità di fondi stanziati ha portato più di una volta ricercatori a manipolare i risultati. Ad esempio è successo l’anno scorso quando uno scienziato dell’università del Missouri-Columbia, ha ritoccato con la tecnica digitale alcune immagini di embrioni di topo in un suo articolo sulla rivista Science.
Insomma è iniziato un periodo di declino per la clonazione terapeutica e la sperimentazione sugli embrioni? Pare di sì. Ma sembra anche che, qui in Italia, in pochi se ne siano resi conto. Lo fa notare Marina Corradi in un articolo dell’Avvenire del 22 novembre. La Corradi sottolinea che, mentre il Times ha dato alla notizia l’apertura in prima pagina, nel nostro Paese Repubblica l’ha destinato a pagina 23 (con un piccolo richiamo in prima) dopo tre pagine fitte di cronaca sul caso di Perugia, il Corriere non ne ha parlato visto che aveva già parlato di staminali la domenica prima, la Stampa lo ha inserito tra le solite comete e migrazioni di pinguini dell’inserto scienze e infine l’Unità lo ha collocato a pagina 8 “a piede” come si dice in gergo giornalistico.
Analizza la Corradi: “gli stessi giornali che prima del referendum del 2005 ripetevano ossessivamente, e ignorando del tutto le obiezioni di autorevoli ricercatori, che per sconfiggere le malattie neurodegenerative occorreva usare gli embrioni, sulla svolta di oggi fanno understatement. Gli editorialisti che avvertivano severi che perdere la corsa dei brevetti sulle staminali embrionali avrebbe affossato la ricerca scientifica in Italia, ora non scrivono. Come mai è più franco nel dichiarare il cambio di rotta uno scienziato come Wilmut? Proprio perché è uno scienziato, e, preso atto di una strada più promettente e facilmente praticabile, nel confronto con la realtà cambia idea. Chi è ideologico, invece, non guarda alla realtà: ha un suo schema cui deve restar fedele, anche se ciò che accade lo contraddice”.
Insomma ora è anche la scienza che predilige la via delle staminali adulte rispetto all’utilizzo degli embrioni. Vedremo quali saranno gli sviluppi.