La guerra in Siria ha ucciso più di mezzo milione di persone, sconvolgendo la vita di altri 13 milioni che hanno dovuto lasciare la propria casa o il proprio Paese: probabilmente è il disastro umanitario più grande dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Questo articolo di The Atlantic riassume la genesi e la storia del conflitto che sta scuotendo il Medio Oriente. La traduzione è nostra.
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Ecco come è iniziata la guerra in Siria
È difficile ricordare, dopo sette anni di terribili colpi di scena, che la storia del conflitto siriano è cominciata da un piccolo graffito.
Nel marzo 2011, quattro bambini nella città meridionale di Der'a hanno scarabocchiato su un muro queste parole: “È il tuo turno, Dottore”. Una previsione del fatto che il regime del presidente siriano Bashar al-Assad, oculista di formazione inglese, ben istruito e sedicente riformatore, sarebbe caduto allo stesso modo di Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto e, infine, del regime di Gheddafi in Libia. Ma la storia della Siria è andata diversamente.
La storia del conflitto siriano è iniziata in piccolo: i servizi di sicurezza di Assad hanno arrestato i quattro autori del graffito, rifiutandosi poi di dire ai loro genitori dove si trovavano. Dopo due settimane di attesa, i residenti di Der'a, famosi per le loro proteste accese, chiedevano la liberazione dei bambini.
Il regime, a quel punto, ha risposto con colpi di arma da fuoco, uccidendo diversi manifestanti e cominciando a spargere il primo sangue di una guerra che oggi ha ucciso mezzo milione di persone. Ogni funerale è diventato un’opportunità per protestare e ogni volta il regime ha risposto con maggiore violenza.
La differenza tra il conflitto siriano e la primavera araba
Le proteste si sono diffuse rapidamente di città in città - Homs, Damasco, Idlib ecc. - inghiottendo tra le fiamme quella che ancora oggi è, almeno nominalmente, la Repubblica Araba Siriana. La dinamica di fondo che ha guidato le insurrezioni arabe - una popolazione giovane in rapida crescita da una parte e un rigido regime repressivo incapace di cambiamento dall’altra - si è ripetuta in modo simile in vari paesi, ma le conseguenze sono state differenti, e da nessuna parte sono state tanto feroci come in Siria. Qui le prime speranze che Assad potesse fare la fine di altri dittatori si sono sgretolate tra le rovine delle sue antiche città e le vite distrutte della sua gente.
Il crescere della brutalità del regime, dai cecchini per scacciare i manifestanti che chiedevano più libertà e dignità, al lancio di armi chimiche su intere città, ha caratterizzato la storia del conflitto siriano fino ad oggi ed è avvenuto di fronte agli occhi del mondo che ha potuto osservare tutto in tempo reale. E il mondo ha visto anche, grazie a spezzoni circolati sui social, quello che sembrava un attacco chimico in una base ribelle. Ha visto le rappresaglie degli Stati Uniti e dei suoi alleati, e ha ascoltato il Pentagono rivendicare il successo del bombardamento di tre strutture associate al programma di armi chimiche di Assad.
Il modo in cui la Siria è passata dai graffiti, al quasi rovesciamento del suo dittatore, alla riaffermazione del controllo da parte di un tiranno su un paese distrutto, è una storia di conflitti etnici, connivenza internazionale e, soprattutto, sofferenza da parte di civili. La storia del conflitto siriano oggi non sta finendo, ma entrando in una fase nuova e forse ancora più pericolosa.
L’Occidente e il conflitto in Siria
I leader delle capitali occidentali hanno visto a lungo Assad come un sinistro modello di stabilità mediorientale, ma nel 2011 hanno subito pensato che il “potere al popolo” avrebbe fatto cadere Assad come aveva fatto con gli altri tiranni Arabi. Ma la storia del conflitto siriano fino ad oggi ci ha dimostrato che il regime di Assad aveva qualcosa che gli altri non avevano.
Le strategie di “resistenza popolare” funzionano bene contro sistemi autoritari la cui leadership viene dalla maggioranza etnica, come nel caso dell’Egitto. In quel frangente i soldati sono posti davanti a una scelta: sparare ai propri fratelli e connazionali oppure aiutarli a liberarsi di chi glielo sta ordinando. Ciò causa una divisione nell’esercito e nei servizi di sicurezza, cosa che può condurre presto a una capitolazione del governo.
Il governo di Assad, invece, è una minoranza protetta da una fortezza di interessi settari intorno ad esso. La minoranza degli Alawiti è al centro, circondata, come se fossero anelli concentrici, dalle altre (cristiani, shia, ecc.) e infine dai sunniti, che in Siria rappresentano la maggioranza. L’esercito e i servizi di sicurezza della minoranza, essendo più distanti dalla maggioranza sunnita della popolazione, sono più propensi a ordinare di aprire il fuoco contro i manifestanti piuttosto che rovesciare i propri consanguinei al potere. Nella storia del conflitto siriano ciò fino ad oggi ha dato un vantaggio al regime di Assad rispetto alle divisioni che hanno fatto cadere Ben Ali e Mubarak.
Ma evidentemente questo dato non era parte dei calcoli del presidente Obama quando, nell’agosto del 2011, ha dichiarato che Assad si sarebbe dovuto “fare da parte”, come se l’uomo più potente della Siria fosse potuto scomparire magicamente. Per accelerare il processo, Obama ha fatto in modo che i suoi alleati europei e della Lega Araba adottassero lo stesso linguaggio, così come una serie di sanzioni contro il regime di Assad, tra cui il divieto di acquistare il petrolio greggio siriano, risorsa vitale per il regime. Mancava totalmente un piano per rimuovere Assad nel caso non fosse andato tutto pacificamente.
E Assad non ne aveva l’intenzione. Nell’autunno del 2011 e nella prima metà del 2012, diverse iniziative delle Nazioni Unite hanno fallito nell’imporre un cessate il fuoco o una risoluzione delle ostilità. Mentre i governi occidentali sollecitavano i siriani a mantenere pacifiche le proteste, allo stesso tempo l’esercito del regime aumentava il numero di cecchini, i miliziani delle minoranza soprannominati “fantasmi”, e l’utilizzo di attacchi aerei, facendo aumentare vertiginosamente il bilancio delle vittime. Sempre più siriani hanno preso le armi per difendersi e centinaia di milizie locali si sono organizzate sotto la bandiera dell’Esercito di Liberazione Siriano (FSA). Il suo vessillo includeva la vecchia bandiera nazionalista della Siria, ma l’FSA assomigliava più a un franchise che a un vero esercito.
Uno snodo fondamentale della storia del conflitto siriano è stato quando la rivolta si è tramutata in una guerra civile. Quando nell'estate del 2012 Russia e Stati Uniti hanno offerto un piano di transizione per aiutare a fermare la violenza, entrambe le parti l'hanno respinto, ognuna credendo di poter sconfiggere l'altro militarmente. Ad ogni modo, sembrava che i ribelli stessero prendendo il sopravvento; un gruppo era riuscito a conquistare mezza Aleppo, la città più grande della Siria oltre che centro industriale, a luglio.
A quel punto il modello era fissato: di fronte a perdite così ingenti il regime ha ricorso a misure estreme. Le forze di Assad resistevano ad Aleppo, mantenendosi nella parte ovest della città lanciando missili scud sulle basi ribelli – diventandone il secondo maggiore utilizzatore, dopo Najibullah in Afghanistan, a dispiegare questo tipo di armi contro la propria gente. Il conto delle vittime e dei rifugiati è a quel punto esploso.
Soldi occidentali ai ribelli siriani
Quando la violenza ha oscurato la diplomazia, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono trovati davanti a scelte difficili. La prima era cosa fare con gli oppositori del regime, tra i quali erano nati rapidamente gruppi di jihadisti, che erano pronti a rafforzarsi in assenza di sforzi esterni per armare e riunire l'opposizione nazionalista. Obama, comunque, notoriamente rifiutò l’approvazione dei piani per farlo. Altrettanto importante, e infine disastrosa, è stata la decisione di consentire agli alleati regionali degli Stati Uniti di armare invece l'opposizione. Soldi da diversi paesi del Golfo Arabo sono confluiti in Siria, sollecitando ancora più divisioni tra chi combatteva contro Assad, e rendendo i salafiti e i jihadisti i gruppi più forti tra quelli.
Il secondo problema, quello che avrebbe portato a una svolta nella storia del conflitto siriano ma che ad oggi non ha prodotto l’esito sperato, riguardava i report dell’intelligence statunitense secondo cui Assad si stava preparando a incrementare ulteriormente le armi chimiche, facendo uso delle sue scorte, che in quel momento erano ritenute le più grandi nella regione se non il mondo.
Il 20 Agosto del 2012, in conferenza stampa Obama ha detto che “se vediamo spostarsi o essere utilizzate grandi quantità di armi chimiche, per noi questo rappresenta una linea rossa”. Mentre la guerra infuriava in autunno, sempre più rapporti indicavano che il regime di Assad aveva effettivamente iniziato a usare agenti chimici a basse concentrazioni.
A quel punto, il bilancio delle vittime era già alle stelle, con l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) che stimava 50mila morti per la fine del 2012 e il flusso di migranti che si avvicinava al mezzo milione.
Utilizzo delle armi chimiche in Siria
La Siria stava collassando rapidamente. Le testimonianze sull'uso di armi chimiche continuavano ad accumularsi; i rifugiati continuavano a fuggire, e il denaro continuava a fluire verso i gruppi jihadisti, incluso quello che alla fine sarebbe diventato lo Stato islamico. Nuovi combattenti stavano entrando in campo. Hezbollah e altre milizie appoggiate dall'Iran stavano operando dalla parte del regime di Assad, mentre nel nord-est i combattenti curdi colpivano nel tentativo di assicurarsi l’autonomia. Mentre il paese si disgregava, le organizzazioni terroristiche riempivano il vuoto da ogni parte.
Nell'estate del 2013, i gruppi di opposizione hanno guadagnato più terreno all'interno e intorno alla capitale Damasco. Per la disperazione militare o per pura brutalità, il regime di Assad ha raddoppiato l'uso di armi chimiche. Il 21 agosto 2013, quasi un anno dopo che Obama aveva stabilito la sua "linea rossa", l'esercito siriano ha lanciato razzi pieni di sarin nella parte orientale della Ghouta a est di Damasco, un attacco che gli Stati Uniti hanno stimato possa aver ucciso circa 1.400 civili. Mentre le navi da guerra si radunavano al largo della costa siriana per una possibile rappresaglia, Obama faceva marcia indietro sotto la pressione del Congresso e della sua base politica, optando invece per un accordo russo che avrebbe teoricamente liberato la Siria dalle armi chimiche.
Questa drammatica svolta nella storia del conflitto siriano ha causato l'evaporazione di qualsiasi cosa rimanesse del sostegno dell'opposizione siriana agli Stati Uniti. Durante un viaggio nel sud della Turchia in autunno, ho parlato con i rappresentanti dell'opposizione siriana che mi hanno detto che erano furiosi per quella decisione. Molti credevano che Assad avesse usato armi chimiche e se ne fosse sbarazzato. Ma la maggior parte era sorpresa che Washington credesse che l'accordo gli avrebbe impedito di farlo di nuovo, e questa era una conclusione tragicamente preveggente. Quel settembre i flussi dei rifugiati raggiunsero i 2 milioni di persone a settembre.
L’ISIS si era notevolmente espanso in tutta la Siria e l'Iraq. Nel 2014, il suo territorio era approssimativamente grande come la Gran Bretagna, e i militanti stavano improvvisamente minacciando non solo il regime di Assad, ma anche lo stato iracheno per l’unità del quale Washington aveva speso miliardi di dollari. Fu a questo punto che l’amministrazione Obama decise di intervenire direttamente nella storia del conflitto siriano.
Mentre i titoli internazionali si concentravano sull'orribile esecuzione degli americani catturati dall'ISIS, più di 7.6000 siriani venivano uccisi nel solo 2014, il più alto numero di morti in un solo anno del conflitto, e 1,3 milioni di siriani fuggivano nei paesi vicini. Centinaia di migliaia furono sfollati all’interno della Siria.
Il rapporto tra Putin e Assad
L’America dunque non stava puntando direttamente contro Assad - sebbene Obama a quel punto avesse iniziato un programma segreto per armare alcuni ribelli - ma il regime si stava assottigliando mentre i ribelli sostenuti dagli Stati Uniti penetravano in profondità verso il cuore della terra degli Alawiti, minacciando la base settaria di Assad.
Probabilmente questa è stata la ragione per la quale Assad ha cominciato a trascinarsi nella questione delle armi chimiche, mancando i termini stabiliti per trasportare le scorte al di fuori del paese nonostante fossero emersi dei report secondo i quali non tutte le scorte di armi chimiche erano state dichiarate.
Anche Mosca era in allerta, ma per un altro problema. Il pensiero non era rivolto ai tempi per il raggiungimento dell’accordo, ma al fatto che l’alleato siriano fosse in una posizione pericolosa: aveva subito una forte riduzione della forza lavoro impiegabile, e stava perdendo terreno anche con il sostegno delle milizie stanziate in Iran. Solo pochi giorni dopo la firma degli accordi nucleari in Iran del 2015 da parte degli Stati Uniti, Qassem Suleimani, il comandante del Corpo operazioni esterne della Guardia Rivoluzionaria Iraniana volava a Mosca; in un mese la Russia aveva stabilito una base nella minacciata fortezza Alawita di Latakia, sulla costa mediterranea.
Durante l’autunno del 2015, l’aereonautica russa ha sganciato in maniera “imprecisa” bombe dell’epoca della guerra del Vietnam come sostegno del regime di Assad e delle forze iraniane in tutta la Siria, invertendo lentamente le perdite del regime in Latakia e permettendo alle truppe di Assad e quelle sostenute dall’Iran di marciare a nord verso Aleppo.
Il rapporto tra Trump e Assad
Più di un milione di siriani ha abbandonato il paese, con molte fughe oltre la vicina Turchia e verso l’Europa. Più di 55mila siriani sono stati uccisi solamente nel 2015, portando il totale delle vittime del conflitto a più di un quarto di milione, al quale vanno aggiunte circa 100mila morti non documentate.
Gli Stati Uniti, una volta rafforzati per la sconfitta dell’ISIS e sostenendo l’opposizione siriana, hanno vacillato. Ciò ha portato sia la Russia che l’Iran a un tentativo di stabilire un cessate il fuoco e dei colloqui per finire la guerra - sebbene la Russia continuasse ad aggredire le postazioni ribelli, permettendo a ciò che rimaneva dell’esercito di Assad e allo schieramento delle milizie sostenute dagli irianiani (tra le quali Hezbollah) di respingere i ribelli.
Nell’estate del 2016, questo schieramento eterogeneo ha circondato e distrutto Aleppo est. Nello stesso momento gli Stati Uniti osservavano uno dei loro alleati venire sfidato da un altro, dal momento che la Turchia aveva effettivamente invaso la Siria per bloccare le forze sostenute dagli Stati Uniti e dominate dai Curdi nel rafforzamento del loro territorio. Gli americani erano concentrati sul risultato delle elezioni presidenziali del 2016; i siriani, invece, erano concentrati nell’esodo, con circa 11 milioni - metà della popolazione siriana prima della guerra - in fuga o verso i paesi confinanti o all’interno della Siria.
La caduta di Aleppo
A fine dicembre Aleppo è caduta, segnando un altro importante capitolo nella storia del conflitto siriano e facendo arrivare migliaia di persone dell’opposizione nella provincia di Idlib, dove molti opinionisti a favore di Assad sostenevano che sarebbero stati puniti per il massacro.
Nel momento in cui il presidente degli Stati Uniti prendeva le redini a Washington, il regime di Assad portava la propria attenzione verso la provincia di Idlib e le aree controllate dai ribelli nel sud ovest della Siria, nelle zone adiacenti a Israele e alla Giordania. Ma uno sguardo più approfondito alla composizione di queste offensive mostrava una parte di truppe sostenute dagli iraniani e di Hezbollah più grande che mai. I ribelli sostenuti dagli Stati Uniti contrattaccavano, spingendo il regime verso sud nonostante il supporto aereo russo.
Questo era il contesto nel quale l’amministrazione Trump è entrata nella storia del conflitto siriano. Il neoeletto presidente ha affrontato la grande questione di un attacco chimico in Siria, nell’aprile del 2017, nel villaggio di Idlib, Khan Sheikhoun. Le Nazioni Unite hanno confermato l’attacco chimico in via definitiva rivelando l’utilizzo dell’agente nervino sarin - sostanza della quale il regime di Assad si sarebbe già dovuto essere liberato. Questa volta, invece di cercare un accordo, Trump ha colpito la base aerea responsabile dell’attacco.
Ancora una volta Washington si è ritrovata a combattere uno dei nemici di Assad, l’ISIS. Nell’estate del 2017, Stati Uniti, Russia e Giordania si sono organizzati per stringere un accordo che riducesse drasticamente i conflitti ai danni del paese, permettendo al regime di Assad di lanciare un'offensiva contro il gruppo jihadista.
Il suo esercito, ormai finito, era composto in parte da grandi contingenti di milizie sciite e unità organizzate dalla Russia. Ci si aspettava che le aree sunnite liberate dall'ISIS accogliessero l'offensiva del regime, ma la brutalità del regime di Assad, unita alla composizione sciita delle forze sostenute dall'Iran giunte per occupare le aree arabe sunnite, hanno spinto la maggior parte degli sfollati a dirigersi verso le zone controllate dai curdi.
In ogni caso l’ISIS non è l’unica priorità del regime, o comunque non era la più importante. All’inizio del 2018, il regime di Assad ha lanciato un’offensiva per ottenere il Ghouta - in quel momento l’ultima e più importante presenza di opposizione vicina alla capitale siriana e luogo nel 2013 di un attacco con utilizzo di armi chimiche. Il regime e le truppe alleate sostenute dall’Iran sono riuscite a tagliare la zona in due mentre la Russia tentava di mediare un’evacuazione di civili e combattenti verso altre zone.
Quando questo tentativo è fallito, il regime di Assad ha lanciato un assalto militare per conquistare il Ghouta di forza. A causa del numero limitato di uomini, pura brutalità o per entrambi i motivi, sembra che Assad sia ricorso nuovamente alle armi chimiche, uccidendo dozzine di persone e superando ancora una volta la “linea rossa tracciata” da Washington.
Guerra in Siria: il bilancio del 2018
Adesso, ancora una volta, i missili americani sono stati indirizzati contro obiettivi del regime. Venerdì sera, il Segretario della Difesa James Mattis ha sostenuto che questi missili sono stati lanciati una tantum come deterrente delle armi chimiche. Non importa cosa succederà dopo, queste armi sono solamente una parte più brutale di altre nella storia del conflitto siriano fino ad oggi.
Il conflitto è adesso il disastro umanitario più grande da dopo la seconda guerra mondiale. La conta dei morti oggi sfiora il mezzo milione, sebbene l'ONU abbia smesso di contare. Una vastità senza numero di persone è ferita o scomparsa. Un rapporto del governo americano sostiene che il regime di Assad stia utilizzando forni crematori vicino la prigione Saidnaya poco fuori Damasco e che quindi molti resti umani non saranno mai ritrovati.
L’Alta Commissione per i Rifugiati delle Nazioni Unite stima che 13,1 milioni di siriani hanno bisogno di assitenza umanitaria, con più di sei milioni che si trovano all’interno del paese e cinque milioni registrati come rifugiati. Centinaia di migliaia rimangono non censiti. Le stime sul numero totale di siriani rifugiati in Libano oggi superano un quarto della popolazione, con una situazione poco più lieve in Giordania.
La storia del conflitto siriano fino ad oggi è abbastanza orribile. Ma nel frattempo, il modo in cui la guerra civile siriana viene “liquidata” è sempre più inaccettabile per i paesi della regione. Israele, preoccupato per l'aumento delle milizie iraniane e per l'influenza in Siria, bombarda come non mai. La Turchia, preoccupata per la crescita delle forze curde legate all'arcinemico di Ankara, il PKK, ha invaso la Siria nord-occidentale, spingendo i curdi fuori da una fortezza di Afrin con minacce di fare lo stesso in un'altra, quella di Manbij.
I negoziati a Ginevra e in altri luoghi non hanno ancora prodotto validi cessate il fuoco o comunque qualcosa di simile a una soluzione politica. Come la guerra civile nel vicino Libano, la guerra civile siriana ora minaccia di trasformarsi nella guerra di Siria, una conflagrazione regionale che sembra destinata a bruciare per una generazione. E i civili sono condannati a viverla, morendo ogni giorno a causa di essa.
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