In questo articolo, apparso originariamente su antimafiaduemila.com, Fabio Beretta ricostruisce la storia della commissione voluta da papa Francesco per inserire la scomunica immediata ai mafiosi.
“Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”. Sono passati dieci anni da quando Papa Francesco, sotto il sole della piana di Sibari, in un’afosa domenica di giugno, pose fine a quell’ossimoro che da decenni aleggiava in molte città del Sud Italia: mafiosi che si professano cristiani cattolici. Parole che non restarono tali: il Pontefice si attivò per dare vita a un Commissione speciale in Vaticano per studiare il fenomeno e mettere nero su bianco una definizione univoca del peccato di mafia.
Una scomunica latae sententiae, infatti, per essere effettiva, deve apparire nel Codice di Diritto Canonico. Ad oggi, nell’ultima edizione, datata 2022, la parola mafia non appare. È proprio per colmare questo vuoto che un gruppo di esperti era stato chiamato dal Papa a lavorare sull’argomento. Sono le regole della Chiesa.
Ma a dieci anni dal monito di Sibari, ecco un’amara sorpresa: la Commissione, di fatto, in Vaticano, non esiste più. Il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, presso cui era stata istituita dallo stesso Bergoglio, ha declassato la questione relegandola a un “problema solo italiano”. Per tanto, dovrà pensarci la Conferenza Episcopale Italiana.
Sorge però un problema: la Cei è all’oscuro di questo passaggio. Così come ne sono all’oscuro i membri della suddetta commissione.
La Commissione per studiare la scomunica ai mafiosi
Andiamo con ordine. La Commissione nasce ufficialmente nel 2021. L’annuncio viene dato il 9 maggio, giorno della beatificazione di Rosario Livatino, “il giudice bambino” assassinato (in questo caso è appropriato dire martirizzato) dalla Stidda all’età di appena 37 anni. Ma qualcuno rema contro fin dall’inizio. Gli intoppi, infatti, iniziano fin da quel giorno di primavera: la Commissione aveva preparato un comunicato stampa che la Santa Sede avrebbe dovuto diffondere a mezzogiorno tramite la Sala Stampa vaticana nel consueto bollettino giornaliero. Il testo però non viene diffuso. Appare prima su Vatican News, l’organo ufficiale d’informazione del Vaticano, ma scompare dopo pochi minuti. Ai giornalisti accreditati arriva quindi un comunicato molto più breve (rispetto a quello preparato dalla Commissione) e non a nome della Santa Sede ma del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale.
La Commissione, formata da Vittorio V. Alberti, Rosy Bindi, Luigi Ciotti, Marcello Cozzi, Raffaele Grimaldi, Michele Pennisi, Giuseppe Pignatone e Ioan Alexandru Pop, inizia a lavorare sotto l’egida del cardinal Turkson, all’epoca a capo del medesimo Dicastero.
Da Oltretevere partono anche delle lettere, indirizzate a tutte le Conferenze episcopali di tutto il globo (perché, si sa, la mafia non è solo una questione italiana) per far conoscere il lavoro che la Commissione sta portando avanti e tendere una mano ai vescovi che, grazie alle operazioni delle forze dell’ordine, si sono visti la mafia arrivare fino alle porte di casa.
Un lavoro che prosegue fino al 2022 quando il Papa nomina una nuova guida a capo del Dicastero: il cardinal Michael Czerny, gesuita, ceco naturalizzato canadese, classe 1946. E col suo arrivo la Commissione non verrà più convocata. Il porporato, infatti, è convito che quello della mafia sia solo “un problema italiano” e, per tanto, la Santa Sede non c’entra nulla.
Inizialmente il cardinale aveva messo in stand-by la Commissione giustificando la non convocazione con il conflitto in Ucraina: tutti gli sforzi del Vaticano e del Dicastero dovevano concentrarsi per raggiungere la pace ai confini dell’Europa. Poi è sopraggiunta la guerra in Terra Santa. E la scomunica? Già nel 2021 era pronto un documento che doveva essere portato all’attenzione del Papa. Quei fogli, sulla scrivania del Santo Padre, non sono mai arrivati.
Il passaggio dal Vaticano alla CEI
Per Czerny non ci sono dubbi. “È un problema italiano. Dovrebbe occuparsene la Cei”. Un ragionamento che è smentito nei fatti non solo dalle operazioni di polizia e dalle sentenze dei tribunali di diverse nazioni del pianeta. Ma anche dall’operato di diverse Conferenze Episcopali, come quella tedesca, che proprio lo scorso anno ha tenuto un incontro sul tema.
Non solo: i vescovi tedeschi, così come quelli statunitensi e di altre nazioni, avevano risposto alle lettere che la Commissione aveva inviato poco tempo fa affermando che, effettivamente, quello della mafia è un problema che si sta allargando a macchia d’olio anche nei loro Paesi.
Ma a quanto pare in Vaticano la si pensa diversamente. La Commissione viene quindi “declassata”, lasciando le redini alla Conferenza Episcopale Italiana. O almeno è quello che sostiene il Dicastero per lo Sviluppo Umano integrale che, interpellato sull’andamento dei lavori sulla scomunica ai mafiosi dopo le intimidazioni agli uomini di Chiesa in Calabria, così risponde: “La commissione a cui fa riferimento non dipende più da questo Dicastero ma è di competenza della Conferenza Episcopale Italiana”.
Subito interpellata la Cei, la risposta che ci viene data al telefono è la seguente: “A noi non ci risulta”. Nuovamente ricontattato il Dicastero, questo “conferma che la commissione passa alla Cei”, precisando: “Certamente serve il tempo necessario per il passaggio”.
In tempi moderni che una Commissione vaticana decisa dal Papa su un argomento così importante passi a una Conferenza Episcopale non era mai accaduto.
C’è poi una puntualizzazione da fare: per come è strutturata la Conferenza Episcopale Italiana quella che sorgerebbe sarebbe non una Commissione ma un “gruppo di studio”. Ma, anche se fosse una Commissione, qualsiasi decisione venga presa, questa dovrebbe poi essere approvata dalla Santa Sede. Insomma, ci vorrà ancora del tempo prima di vedere definitivamente i mafiosi scomunicati. Un vero peccato. È il caso di dirlo.
L’articolo originale è disponibile su Antimafiaduemila.com
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