Il punto sull'ICI e la Chiesa cattolica

di Alessandro Cristofari, 12 dicembre 2011

È tornato in questi giorni il dibattito sull’esenzione ICI alla Chiesa cattolica. Proviamo a capire come stanno le cose. Nel 1992 lo Stato italiano ha istituito l’ICI, l’imposta comunale sugli immobili. Nello stesso intervento normativo (link) sono state previste delle esenzioni: non alla Chiesa cattolica ma a tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. Ciò significa che la legge esenta dal pagamento dell’ICI tutti gli enti non commerciali, le organizzazioni di volontariato, fondazioni, onlus, Ong, Pro loco, enti pubblici territoriali, aziende sanitarie, associazioni sportive, ecc. siano o no appartenenti alla Chiesa e ad altre confessioni religiose.  

In un articolo de La Bussola Quotidiana Marco Ciamei riassume bene i criteri della legge. Perché venga applicata l’esenzione sono necessarie due condizioni: 
1. Il proprietario dell’immobile deve essere un “ente non commerciale”, ossia non deve distribuire gli utili e gli avanzi di gestione ed è obbligato, in caso di scioglimento, a devolvere il patrimonio residuo a fini di pubblica utilità. 
2. L’immobile deve essere destinato “esclusivamente” allo svolgimento di una o più tra le otto attività di rilevante valore sociale individuate dalla legge.  

Non è vero, quindi, che tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali (anche quelli della Chiesa cattolica) sono esenti: lo sono solo se destinati alle attività non commerciali. In tutti gli altri casi pagano regolarmente l’imposta: è il caso degli immobili destinati a librerie, ristoranti, hotel, negozi, così come delle case date in affitto. Inoltre l’esenzione dall’ICI (che è un’imposta patrimoniale) non ha alcun effetto sul trattamento riguardante le imposte sui redditi e l’IVA, né esonera dagli adempimenti contabili e dichiarativi. Infatti gli enti non commerciali, compresi quelli della Chiesa cattolica (parrocchie, istituti religiosi, seminari, diocesi, ecc.), che svolgono anche attività fiscalmente qualificate come “commerciali” sono tenuti al rispetto dei comuni adempimenti tributari e al versamento delle imposte secondo le previsioni delle diverse disposizioni fiscali.

Alcuni esempi concreti

Sandro Magister, giornalista dell’Espresso, sul suo blog ha illustrato alcuni esempi chiarificatori:
– una parrocchia di Milano non paga l’ICI per le aule di catechismo e l’oratorio, ma la paga per l’albergo che ha sulle Dolomiti, abbia o no questo al suo interno una cappella.
– la Caritas di Roma non paga l’ICI per le sue mense per i poveri, né per l’ambulatorio alla Stazione Termini, né per l’ostello nel quale ospita i senza tetto.
– la Chiesa valdese non paga l’ICI per il suo tempio di Piazza Cavour a Roma, né per le sale di riunione, né per l’adiacente facoltà di teologia. La paga, però, per la libreria che è a fianco del tempio.
– la comunità ebraica di Roma non paga l’ICI per la Sinagoga, per il Museo, per le scuole. Ma la paga per gli edifici di sua proprietà adibiti ad abitazioni o negozi.
- a Roma Propaganda Fide e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica possiedono un buon numero di palazzi dati in affitto e sono tra i primi contribuenti ICI della capitale 

Magister conclude: pretendere che la Chiesa cattolica paghi l’ICI anche per gli immobili su cui è esentata – cioè le chiese, i musei, le biblioteche, le scuole, gli oratori, le mense, i centri d’accoglienza, e simili – vuol dire punire l’immenso contributo dato alla vita dell’intera nazione non solo dalla Chiesa stessa ma anche da ebrei e da valdesi, da Caritas e da Emergency, da Telethon e da Amnesty International, insomma da tutti quegli enti non profit per i quali vige l’identica normativa.

La disponibilità della Chiesa al miglioramento della norma  

La Chiesa cattolica italiana sta mostrando disponibilità al dialogo e all’eventuale miglioramento della norma sull’esenzione ICI. A tal proposito il Cardinal Bagnasco ha dichiarato: «Se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra. Come è noto la legge prevede un particolare riconoscimento e considerazione del valore sociale delle attività degli enti no profit, tra cui la Chiesa cattolica, e quindi anche di quegli ambienti che vengono utilizzati per queste specifiche finalità di carattere sociale, culturale, educativo. Bisogna aggiungere - ha proseguito il cardinale Bagnasco - che, laddove si verificasse qualche inadempienza, si auspica che ci sia l'accertamento e la conseguente sanzione, come è giusto per tutti. Per quanto riguarda eventuali punti della legge che avessero bisogno di qualche puntualizzazione o precisazione non ci sono pregiudiziali da parte nostra, per poter fare queste precisazioni nelle sedi opportune. La giustizia non ha tempo né luoghi, quindi va bene in qualunque momento. Se c'è qualche punto che deve essere precisato - ha concluso il porporato - si precisi».  

In un’intervista sul Corriere della Sera Giuseppe Dalla Torre dice: «Le esenzioni riconosciute alla Chiesa come in genere al "non profit" sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società. Non sono privilegi. Dagli oratori alle mense dei poveri alle iniziative antiusura, c' è un pezzo importante di welfare fatto di attività assistenziali e sociali di cui forse non si è consapevoli. Sarà che non è nello stile cristiano battere la grancassa. Ma il mondo cattolico è chiamato su questo a un impegno più forte. La carità ha creato l' identità italiana prima che ci fosse lo Stato».   

Il caso delle suore che pagano doppio

In questa polemica si citano spesso ipotetici casi di enti “finti no-profit” che aggirano l’ICI quando in realtà svolgono un’attività commerciale. Su Avvenire Umberto Folena ha riportato un caso reale al contrario: delle suore che pagano l’ICI per il loro convento (anche se in linea di principio non dovrebbero) semplicemente perché è nello stesso stabile di un albergo che gestiscono.