di Bruno Mastroianni, elaborazione da varie fonti, 29.11.2007
Domenica scorsa è stato presentato a Torino, nel salone della Casa Valdese, il nuovo Manifesto di Bioetica Laica. Fin dai primi paragrafi il testo prende posizione sui limiti che l’etica può imporre al progresso scientifico. Si legge: è “ingiustificato porre alla ricerca scientifica limiti pregiudiziali in nome di un generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione” e più avanti “alla ricerca scientifica riconosciamo il valore intrinseco che deriva dal suo contributo al miglioramento delle condizioni della vita umana”. Insomma la scienza va rispettata e ascoltata senza essere liquidata da posizioni extrascientifiche che ne blocchino lo sviluppo. Benissimo. Ma questo buon proposito delle premesse, di fatto, viene trascurato in diversi punti del testo in cui sembrano avere la meglio posizioni che nulla hanno a che fare con l’atteggiamento di onestà intellettuale laica a cui si rifà il documento. Vediamo alcuni esempi.
I dubbi sulla ru486
Si legge nel manifesto che gli “ostacoli frapposti alla contraccezione di emergenza” sono “dei veri e propri attentati al diritto all’autodeterminazione delle donne e un danno per il paese” e più avanti si denuncia “una situazione analoga circa il ritardo applicativo delle nuove modalità di aborto terapeutico (pillola ru486)”. In questo caso il manifesto ignora le molteplici perplessità scientifiche che gravitano attualmente attorno all’utilizzo della ru486. A più riprese il New York Times, giornale laico e liberal, si è occupato di quelle allarmanti morti a causa del farmaco (15 donne finora solo negli USA) e dei vari disturbi provocati dallo stesso su altrettante pazienti. D’altronde anche durante la sperimentazione negli Stati Untiti si registrarono diversi casi di emorragia dovuti alla ru486, con 4 donne che dovettero ricorrere d’urgenza a trasfusioni per salvarsi la pelle. Anche la figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica francese è stata vittima della horror-pill come l’ha definita il “Times” a metà ottobre scorso. Insomma non teorie morali ma fatti e dati, che certo dovrebbero essere approfonditi, ma che almeno dovrebbero far reagire un illuminato laico con un atteggiamento di grande prudenza. Eppure nel manifesto questa prudenza sembra non esserci.
Staminali embrionali nonostante la scienza stia facendo dietro front
Lo stesso problema di disinformazione lo si trova a proposito della ricerca sugli embrioni: “il divieto imposto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali rischia di isolare il nostro paese dalla ricerca scientifica internazionale e di rendere più difficile o oneroso accedere alle risorse terapeutiche che ne possono derivare (ad esempio attraverso la cosiddetta ‘clonazione terapeutica’)”. Anche qui gli autori del manifesto mostrano di non conoscere gli ultimi sviluppi scientifici: le riviste Science e Cell hanno recentemente pubblicato due studi, uno americano l’altro giapponese, in cui finalmente gli scienziati per vie diverse sono riusciti ad ottenere cellule staminali senza usare embrioni (vedi qui) . La scoperta scientifica è talmente promettente che ha fatto fare marcia indietro a Ian Wilmut, il padre della pecora clonata Dolly, grande sostenitore della clonazione terapeutica e della sperimentazione sugli embrioni. Al Daily Telegraph il professore ha dichiarato che sposterà la sua attività nella nuova direzione di ricerca, più promettente e priva di controversie etiche. Wilmut non è certo l’ultimo arrivato eppure, in nome della scienza, ha cambiato idea. D’altronde è noto che da 10 anni le ricerche sulla clonazione non hanno dato risultati in termini di applicazioni terapeutiche, tanto che negli Stati Uniti numerosi finanziatori stanno rivedendo la loro politica di sostegno dei progetti (vedi qui).
Fiducia infondata nella diagnosi preimpianto
Più avanti il manifesto si occupa anche della legge 40. Se la prende in particolare con il divieto posto alla “diagnosi preimpianto” che può “salvaguardare la salute del nascituro”. Anche in questo caso basterebbe informarsi: lo scorso ottobre a Washington i membri della American Society for Reproductive Medicine, tra le più autorevoli e rappresentative Oltreoceano, si sono espressi nettamente contro la tecnica di diagnosi pre-impianto dello screening che negli ultimi otto anni ha dimostrato nei fatti la sua inconsistenza (come riportato anche dalla rivista Nature). Gli scienziati, non i membri del movimento pro-life, dichiarano che la tecnica non si dimostra sufficientemente attendibile e anzi aumenta le possibilità di danni al nascituro.
Modelli educativi
Ma c’è altro ancora. Nel manifesto si auspica che “le responsabilità parentali, che impongono ai genitori l’obbligo di provvedere alla salute e al benessere dei figli, non devono dar loro il diritto di condizionarne rigidamente l’educazione”, piuttosto i fautori del manifesto sognano “forme plurali di educazione” che superino le chiusure di “certe tradizioni familiari e comunitarie”. Un passo avanti insomma per un’educazione più disinvolta dei figli, si potrebbe dire. Eppure il recente rapporto Eurispes-Telefono Azzurro riportato dai principali quotidiani italiani lancia l’allarme sulla nuova generazione di bambini e adolescenti che, privi di freni, hanno in famiglia e in società un atteggiamento “da padroni” con conseguenze negative nel loro rapporto con la sessualità, l’alcol e il crescente fenomeno del bullismo. A questi dati si aggiunge l’ultimo rapporto della Società Italiana di Pediatria che ha rilevato che nelle ragazze adolescenti la massima aspirazione è “diventare un personaggio famoso”, così come il recente libro della giornalista Lombardo Pijola, dal titolo: “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa”, ha raccontato come tante adolescenti di famiglie normali il sabato pomeriggio, fin da tenera età, imparano ad usare il loro corpo per ottenere soldi e popolarità. Insomma mentre da più fonti si denuncia una carenza di modelli educativi forti, i sedicenti laici del manifesto acclamano un’attenuazione della presa educativa dei genitori.
Conclusioni
Questi sono solo quattro esempi presi dal manifesto che mostrano come, anche di fronte a fatti e dati c’è una certa coltre ideologica che non viene scalfita - altro che “generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione”. Sembra che in questo manifesto manchi prima di tutto - ancora prima delle perplessità etiche che suscitano alcune sue posizioni - quel salutare atteggiamento del “dubbio metodico” che dovrebbe ispirare chi fa professione di laicità ed è contrario ad ogni forma di dogmatismo.
I dubbi sulla ru486
Si legge nel manifesto che gli “ostacoli frapposti alla contraccezione di emergenza” sono “dei veri e propri attentati al diritto all’autodeterminazione delle donne e un danno per il paese” e più avanti si denuncia “una situazione analoga circa il ritardo applicativo delle nuove modalità di aborto terapeutico (pillola ru486)”. In questo caso il manifesto ignora le molteplici perplessità scientifiche che gravitano attualmente attorno all’utilizzo della ru486. A più riprese il New York Times, giornale laico e liberal, si è occupato di quelle allarmanti morti a causa del farmaco (15 donne finora solo negli USA) e dei vari disturbi provocati dallo stesso su altrettante pazienti. D’altronde anche durante la sperimentazione negli Stati Untiti si registrarono diversi casi di emorragia dovuti alla ru486, con 4 donne che dovettero ricorrere d’urgenza a trasfusioni per salvarsi la pelle. Anche la figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica francese è stata vittima della horror-pill come l’ha definita il “Times” a metà ottobre scorso. Insomma non teorie morali ma fatti e dati, che certo dovrebbero essere approfonditi, ma che almeno dovrebbero far reagire un illuminato laico con un atteggiamento di grande prudenza. Eppure nel manifesto questa prudenza sembra non esserci.
Staminali embrionali nonostante la scienza stia facendo dietro front
Lo stesso problema di disinformazione lo si trova a proposito della ricerca sugli embrioni: “il divieto imposto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali rischia di isolare il nostro paese dalla ricerca scientifica internazionale e di rendere più difficile o oneroso accedere alle risorse terapeutiche che ne possono derivare (ad esempio attraverso la cosiddetta ‘clonazione terapeutica’)”. Anche qui gli autori del manifesto mostrano di non conoscere gli ultimi sviluppi scientifici: le riviste Science e Cell hanno recentemente pubblicato due studi, uno americano l’altro giapponese, in cui finalmente gli scienziati per vie diverse sono riusciti ad ottenere cellule staminali senza usare embrioni (vedi qui) . La scoperta scientifica è talmente promettente che ha fatto fare marcia indietro a Ian Wilmut, il padre della pecora clonata Dolly, grande sostenitore della clonazione terapeutica e della sperimentazione sugli embrioni. Al Daily Telegraph il professore ha dichiarato che sposterà la sua attività nella nuova direzione di ricerca, più promettente e priva di controversie etiche. Wilmut non è certo l’ultimo arrivato eppure, in nome della scienza, ha cambiato idea. D’altronde è noto che da 10 anni le ricerche sulla clonazione non hanno dato risultati in termini di applicazioni terapeutiche, tanto che negli Stati Uniti numerosi finanziatori stanno rivedendo la loro politica di sostegno dei progetti (vedi qui).
Fiducia infondata nella diagnosi preimpianto
Più avanti il manifesto si occupa anche della legge 40. Se la prende in particolare con il divieto posto alla “diagnosi preimpianto” che può “salvaguardare la salute del nascituro”. Anche in questo caso basterebbe informarsi: lo scorso ottobre a Washington i membri della American Society for Reproductive Medicine, tra le più autorevoli e rappresentative Oltreoceano, si sono espressi nettamente contro la tecnica di diagnosi pre-impianto dello screening che negli ultimi otto anni ha dimostrato nei fatti la sua inconsistenza (come riportato anche dalla rivista Nature). Gli scienziati, non i membri del movimento pro-life, dichiarano che la tecnica non si dimostra sufficientemente attendibile e anzi aumenta le possibilità di danni al nascituro.
Modelli educativi
Ma c’è altro ancora. Nel manifesto si auspica che “le responsabilità parentali, che impongono ai genitori l’obbligo di provvedere alla salute e al benessere dei figli, non devono dar loro il diritto di condizionarne rigidamente l’educazione”, piuttosto i fautori del manifesto sognano “forme plurali di educazione” che superino le chiusure di “certe tradizioni familiari e comunitarie”. Un passo avanti insomma per un’educazione più disinvolta dei figli, si potrebbe dire. Eppure il recente rapporto Eurispes-Telefono Azzurro riportato dai principali quotidiani italiani lancia l’allarme sulla nuova generazione di bambini e adolescenti che, privi di freni, hanno in famiglia e in società un atteggiamento “da padroni” con conseguenze negative nel loro rapporto con la sessualità, l’alcol e il crescente fenomeno del bullismo. A questi dati si aggiunge l’ultimo rapporto della Società Italiana di Pediatria che ha rilevato che nelle ragazze adolescenti la massima aspirazione è “diventare un personaggio famoso”, così come il recente libro della giornalista Lombardo Pijola, dal titolo: “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa”, ha raccontato come tante adolescenti di famiglie normali il sabato pomeriggio, fin da tenera età, imparano ad usare il loro corpo per ottenere soldi e popolarità. Insomma mentre da più fonti si denuncia una carenza di modelli educativi forti, i sedicenti laici del manifesto acclamano un’attenuazione della presa educativa dei genitori.
Conclusioni
Questi sono solo quattro esempi presi dal manifesto che mostrano come, anche di fronte a fatti e dati c’è una certa coltre ideologica che non viene scalfita - altro che “generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione”. Sembra che in questo manifesto manchi prima di tutto - ancora prima delle perplessità etiche che suscitano alcune sue posizioni - quel salutare atteggiamento del “dubbio metodico” che dovrebbe ispirare chi fa professione di laicità ed è contrario ad ogni forma di dogmatismo.
Il testo completo del manifesto:
NUOVO MANIFESTO DI BIOETICA LAICA
Nella nostra società singoli cittadini e gruppi manifestano sempre più intensamente l'intento di sperimentare forme di vita nuove e si organizzano per ottenerne il riconoscimento, mentre la ricerca scientifica e le tecnologie mediche offrono nuove opzioni nei confronti di aspetti fondamentali dell'esistenza.
Profondamente coinvolta in questi processi, la bioetica suscita grande interesse nell'opinione pubblica e assume un rilevante peso politico. Talvolta essa è intesa come uno strumento di difesa dalle innovazioni scientifiche e tecniche, capace di riportare la medicina sotto il controllo di credenze consolidate da tradizioni.
Chi si muove in una prospettiva laica, intende invece promuovere le nuove libertà, proponendo, ovunque sia possibile, regole tali da permettere la coesistenza di persone che seguono orientamenti diversi senza danni o sopraffazioni reciproche.
Oggi sono in atto, da più versanti, pesanti tentativi di soffocare o di limitare gravemente gli sforzi innovativi in tal senso, in modo particolare da parte di quelle organizzazioni religiose che, oltre ad esprimersi ed operare liberamente e pubblicamente, lasciando ad altri la libertà di comportarsi secondo le proprie convinzioni profonde non dannose a terzi, per ottenere il consenso dei propri fedeli e dei singoli cittadini (come è perfettamente legittimo nel pieno rispetto del principio della libertà religiosa), pretendono di imporre i propri orientamenti a tutti i cittadini, credenti e non credenti, in forza di leggi dello Stato.
Il rispetto per la libertà altrui ci porta ad affermare che l'etica laica, pur assumendo forme assai variegate, costituisce un orientamento diffuso, cui informa i propri comportamenti un numero ampio e crescente di cittadini. Essa non rappresenta un corpus monolitico basato su un sistema di dogmi, bensì una linea di tendenza che riesce ad individuare un ampio fascio di sensibilità morali (comprese quelle di ispirazione religiosa che rispettino l'autonomia individuale), che pongono al centro dell'esistenza alcuni valori chiave, quali il rispetto della libertà individuale e dell'autodeterminazione, l'attenzione alla qualità della vita ed alla diminuzione delle sofferenze.
In questa prospettiva rifiutiamo l'imposizione alla ricerca biomedica di limiti e barriere che non siano motivati da possibili danni, realmente e chiaramente provati, arrecati direttamente o indirettamente ad altri.
Limiti alla ricerca di conoscenze e all'adozione di pratiche non possono essere imposti con il ricorso a etiche di un tipo piuttosto che di un altro o a convinzioni filosofiche personali, come quelle che asseriscono l'esistenza di un ordine naturale intrinsecamente benefico, perché così si rischia di impedire lo sviluppo di tecniche capaci di correggere i danni naturali prevedibili, ampliare il ventaglio delle scelte umane e rendere possibili nuovi stili di vita. Riteniamo che la bioetica laica debba anche prevenire il rischio che al tradizionale paternalismo medico si affianchino o si sostituiscano altre forme di paternalismo, quali ad esempio quello che assegna valore assoluto alla natura.
Convinti che ogni nuova scoperta conoscitiva o tecnica possa generare conseguenze tanto positive quanto negative, riteniamo che si debba vigilare per rilevare tempestivamente i danni che ne possono derivare, ma che sia ingiustificato porre alla ricerca scientifica limiti pregiudiziali in nome di un generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione, o trattarla come un'attività puramente strumentale . Alla ricerca scientifica riconosciamo il valore intrinseco che deriva dal suo contributo al miglioramento delle condizioni della vita umana.
In particolare le conoscenze e le tecniche mediche hanno reso possibile affrontare la nascita e la morte secondo prospettive nuove, trasformando in un campo di scelte possibili quelle che un tempo si presentavano come un destino ineluttabile.
Riteniamo che la procreazione debba essere intesa come un atto responsabile, nel quale i genitori debbano tenere conto del proprio patrimonio genetico per tutelare la salute del nascituro, che la gravidanza possa essere interrotta per tutelare la libertà riproduttiva della donna e la salute del nascituro, che sessualità e procreazione possano essere distinte e che alla procreazione possano provvedere singoli e coppie nei diversi modi messi a disposizione dalla pratica medica.
Riteniamo che ci debba essere il più largo accesso alle diverse forme di controllo delle nascite, a partire dalla contraccezione e sterilizzazione volontaria per arrivare alle nuove forme con le quali si riesce a bloccare il processo riproduttivo, dalla contraccezione d'emergenza alle nuove modalità di aborto. Indichiamo negli ostacoli frapposti alla contraccezione d'emergenza ("pillola del giorno dopo"), dei veri e propri attentati al diritto all'autodeterminazione delle donne e un danno per il paese. Denunciamo una situazione analoga circa il ritardo applicativo delle nuove modalità di aborto terapeutico (pillola RU486).
Respingiamo il tentativo di imporre pubblicamente la protezione di materiali biologici, come sangue o cellule, con riferimento a regole etiche non condivise. Il divieto imposto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali rischia di isolare il nostro paese dalla ricerca scientifica internazionale e di rendere più difficile o oneroso accedere alle risorse terapeutiche che ne possono derivare (ad esempio attraverso la cosiddetta "clonazione terapeutica" o quella finalizzata alla produzione di organi per i trapianti). Riteniamo che gli embrioni umani debbano essere trattati con grande attenzione, anche perché nella loro produzione sono sempre coinvolte le donne. Ma proprio per questo respingiamo le posizioni ideologiche o dogmatiche che vorrebbero considerarli intoccabili fin dalla concezione ed indipendentemente dal motivo, così come respingiamo la pretesa di imporre per legge l'equiparazione degli embrioni ai cittadini. Il tabù dell'embrione, protetto fin dalla concezione, incorporato nella legge 40/2004 sulla procreazione assistita, impedisce il libero accesso a questa pratica procreativa, costringendo chi ha possibilità economiche ad andare all'estero e vietando di salvaguardare la salute del nascituro con la diagnosi preimpianto.
Anche modi e tempi della morte sono diventati oggetti possibili di scelta. Rivendichiamo la possibilità di scegliere, per mezzo di strumenti come il testamento biologico, i modi nei quali morire, esercitando il diritto di accettare, di rifiutare o di interrompere le terapie anche se iniziate, il diritto di respingere tutti gli interventi medici non voluti, fossero anche il prolungamento di respirazione, idratazione e alimentazione artificiali, anche qualora non fossero futili. Respingiamo inoltre le sofferenze inflitte senza bisogno, la sublimazione del dolore come esperienza di per sé significativa, il prolungamento della mera vita biologica, quando sia venuta meno ogni prospettiva di guarigione o di ritorno alla vita cosciente. Ma rivendichiamo anche il diritto all'eutanasia volontaria, cioè alla richiesta che si ponga termine alla propria vita, per evitare forme di esistenza dolorose o ritenute per sé non dignitose.
Rifiutando un'idea sacrale della natura, ribadiamo l'impegno a riconoscere nuovi modi di intendere la sessualità e la famiglia. Le differenze di genere e l'evoluzione della loro percezione non sono più così rigide come in passato, e si deve prendere atto che l'orientamento sessuale può assumere varie direzioni. Riteniamo che l'orientamento sessuale, qualsivoglia esso sia, rappresenti un modo per realizzare la propria personalità e che esso possa essere liberamente vissuto, finché non reca danno a nessuno, anche perché una società libera e laica favorisce la sviluppo delle differenze tra i suoi membri.
La famiglia è per noi soprattutto il luogo degli affetti, che possono essere manifestati anche in forme diverse da quelle tradizionali, quali le unioni civili delle coppie di fatto etero ed omosessuali ed ulteriori possibili forme giuridiche di unione fra persone dello stesso sesso, che vanno a collocarsi accanto alla famiglia tradizionale basata sul matrimonio fra uomo e donna. La filiazione e l'adozione stanno assumendo una fisionomia nuova, perché la relazione parentale è connessa alla assunzione di responsabilità nei confronti del nuovo nato. Le responsabilità parentali, che impongono ai genitori l'obbligo di provvedere alla salute e al benessere dei figli, non devono dar loro il diritto di condizionarne rigidamente l'educazione: per questo auspichiamo una società che sappia offrire forme plurali di educazione, capaci di superare le chiusure rappresentate da certe tradizioni familiari e comunitarie.
La bioetica laica è parte di un impegno per una società in cui, oltre allo sviluppo dell'accesso alla conoscenza (ed in particolare a quella scientifica) inteso come uno dei nuovi diritti di cittadinanza, cresca lo spettro dei modi di vita possibili e diminuiscano le sofferenze dovute all'imposizione di un certo atteggiamento di pensiero, piuttosto che di un altro, soprattutto per una società in cui nessuno possa imporre divieti ed obblighi in nome di un'autorità priva del consenso delle persone sulle quali pretende di esercitarsi.
Torino, 25 novembre 2007
Nella nostra società singoli cittadini e gruppi manifestano sempre più intensamente l'intento di sperimentare forme di vita nuove e si organizzano per ottenerne il riconoscimento, mentre la ricerca scientifica e le tecnologie mediche offrono nuove opzioni nei confronti di aspetti fondamentali dell'esistenza.
Profondamente coinvolta in questi processi, la bioetica suscita grande interesse nell'opinione pubblica e assume un rilevante peso politico. Talvolta essa è intesa come uno strumento di difesa dalle innovazioni scientifiche e tecniche, capace di riportare la medicina sotto il controllo di credenze consolidate da tradizioni.
Chi si muove in una prospettiva laica, intende invece promuovere le nuove libertà, proponendo, ovunque sia possibile, regole tali da permettere la coesistenza di persone che seguono orientamenti diversi senza danni o sopraffazioni reciproche.
Oggi sono in atto, da più versanti, pesanti tentativi di soffocare o di limitare gravemente gli sforzi innovativi in tal senso, in modo particolare da parte di quelle organizzazioni religiose che, oltre ad esprimersi ed operare liberamente e pubblicamente, lasciando ad altri la libertà di comportarsi secondo le proprie convinzioni profonde non dannose a terzi, per ottenere il consenso dei propri fedeli e dei singoli cittadini (come è perfettamente legittimo nel pieno rispetto del principio della libertà religiosa), pretendono di imporre i propri orientamenti a tutti i cittadini, credenti e non credenti, in forza di leggi dello Stato.
Il rispetto per la libertà altrui ci porta ad affermare che l'etica laica, pur assumendo forme assai variegate, costituisce un orientamento diffuso, cui informa i propri comportamenti un numero ampio e crescente di cittadini. Essa non rappresenta un corpus monolitico basato su un sistema di dogmi, bensì una linea di tendenza che riesce ad individuare un ampio fascio di sensibilità morali (comprese quelle di ispirazione religiosa che rispettino l'autonomia individuale), che pongono al centro dell'esistenza alcuni valori chiave, quali il rispetto della libertà individuale e dell'autodeterminazione, l'attenzione alla qualità della vita ed alla diminuzione delle sofferenze.
In questa prospettiva rifiutiamo l'imposizione alla ricerca biomedica di limiti e barriere che non siano motivati da possibili danni, realmente e chiaramente provati, arrecati direttamente o indirettamente ad altri.
Limiti alla ricerca di conoscenze e all'adozione di pratiche non possono essere imposti con il ricorso a etiche di un tipo piuttosto che di un altro o a convinzioni filosofiche personali, come quelle che asseriscono l'esistenza di un ordine naturale intrinsecamente benefico, perché così si rischia di impedire lo sviluppo di tecniche capaci di correggere i danni naturali prevedibili, ampliare il ventaglio delle scelte umane e rendere possibili nuovi stili di vita. Riteniamo che la bioetica laica debba anche prevenire il rischio che al tradizionale paternalismo medico si affianchino o si sostituiscano altre forme di paternalismo, quali ad esempio quello che assegna valore assoluto alla natura.
Convinti che ogni nuova scoperta conoscitiva o tecnica possa generare conseguenze tanto positive quanto negative, riteniamo che si debba vigilare per rilevare tempestivamente i danni che ne possono derivare, ma che sia ingiustificato porre alla ricerca scientifica limiti pregiudiziali in nome di un generico e difficilmente quantificabile principio di precauzione, o trattarla come un'attività puramente strumentale . Alla ricerca scientifica riconosciamo il valore intrinseco che deriva dal suo contributo al miglioramento delle condizioni della vita umana.
In particolare le conoscenze e le tecniche mediche hanno reso possibile affrontare la nascita e la morte secondo prospettive nuove, trasformando in un campo di scelte possibili quelle che un tempo si presentavano come un destino ineluttabile.
Riteniamo che la procreazione debba essere intesa come un atto responsabile, nel quale i genitori debbano tenere conto del proprio patrimonio genetico per tutelare la salute del nascituro, che la gravidanza possa essere interrotta per tutelare la libertà riproduttiva della donna e la salute del nascituro, che sessualità e procreazione possano essere distinte e che alla procreazione possano provvedere singoli e coppie nei diversi modi messi a disposizione dalla pratica medica.
Riteniamo che ci debba essere il più largo accesso alle diverse forme di controllo delle nascite, a partire dalla contraccezione e sterilizzazione volontaria per arrivare alle nuove forme con le quali si riesce a bloccare il processo riproduttivo, dalla contraccezione d'emergenza alle nuove modalità di aborto. Indichiamo negli ostacoli frapposti alla contraccezione d'emergenza ("pillola del giorno dopo"), dei veri e propri attentati al diritto all'autodeterminazione delle donne e un danno per il paese. Denunciamo una situazione analoga circa il ritardo applicativo delle nuove modalità di aborto terapeutico (pillola RU486).
Respingiamo il tentativo di imporre pubblicamente la protezione di materiali biologici, come sangue o cellule, con riferimento a regole etiche non condivise. Il divieto imposto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali rischia di isolare il nostro paese dalla ricerca scientifica internazionale e di rendere più difficile o oneroso accedere alle risorse terapeutiche che ne possono derivare (ad esempio attraverso la cosiddetta "clonazione terapeutica" o quella finalizzata alla produzione di organi per i trapianti). Riteniamo che gli embrioni umani debbano essere trattati con grande attenzione, anche perché nella loro produzione sono sempre coinvolte le donne. Ma proprio per questo respingiamo le posizioni ideologiche o dogmatiche che vorrebbero considerarli intoccabili fin dalla concezione ed indipendentemente dal motivo, così come respingiamo la pretesa di imporre per legge l'equiparazione degli embrioni ai cittadini. Il tabù dell'embrione, protetto fin dalla concezione, incorporato nella legge 40/2004 sulla procreazione assistita, impedisce il libero accesso a questa pratica procreativa, costringendo chi ha possibilità economiche ad andare all'estero e vietando di salvaguardare la salute del nascituro con la diagnosi preimpianto.
Anche modi e tempi della morte sono diventati oggetti possibili di scelta. Rivendichiamo la possibilità di scegliere, per mezzo di strumenti come il testamento biologico, i modi nei quali morire, esercitando il diritto di accettare, di rifiutare o di interrompere le terapie anche se iniziate, il diritto di respingere tutti gli interventi medici non voluti, fossero anche il prolungamento di respirazione, idratazione e alimentazione artificiali, anche qualora non fossero futili. Respingiamo inoltre le sofferenze inflitte senza bisogno, la sublimazione del dolore come esperienza di per sé significativa, il prolungamento della mera vita biologica, quando sia venuta meno ogni prospettiva di guarigione o di ritorno alla vita cosciente. Ma rivendichiamo anche il diritto all'eutanasia volontaria, cioè alla richiesta che si ponga termine alla propria vita, per evitare forme di esistenza dolorose o ritenute per sé non dignitose.
Rifiutando un'idea sacrale della natura, ribadiamo l'impegno a riconoscere nuovi modi di intendere la sessualità e la famiglia. Le differenze di genere e l'evoluzione della loro percezione non sono più così rigide come in passato, e si deve prendere atto che l'orientamento sessuale può assumere varie direzioni. Riteniamo che l'orientamento sessuale, qualsivoglia esso sia, rappresenti un modo per realizzare la propria personalità e che esso possa essere liberamente vissuto, finché non reca danno a nessuno, anche perché una società libera e laica favorisce la sviluppo delle differenze tra i suoi membri.
La famiglia è per noi soprattutto il luogo degli affetti, che possono essere manifestati anche in forme diverse da quelle tradizionali, quali le unioni civili delle coppie di fatto etero ed omosessuali ed ulteriori possibili forme giuridiche di unione fra persone dello stesso sesso, che vanno a collocarsi accanto alla famiglia tradizionale basata sul matrimonio fra uomo e donna. La filiazione e l'adozione stanno assumendo una fisionomia nuova, perché la relazione parentale è connessa alla assunzione di responsabilità nei confronti del nuovo nato. Le responsabilità parentali, che impongono ai genitori l'obbligo di provvedere alla salute e al benessere dei figli, non devono dar loro il diritto di condizionarne rigidamente l'educazione: per questo auspichiamo una società che sappia offrire forme plurali di educazione, capaci di superare le chiusure rappresentate da certe tradizioni familiari e comunitarie.
La bioetica laica è parte di un impegno per una società in cui, oltre allo sviluppo dell'accesso alla conoscenza (ed in particolare a quella scientifica) inteso come uno dei nuovi diritti di cittadinanza, cresca lo spettro dei modi di vita possibili e diminuiscano le sofferenze dovute all'imposizione di un certo atteggiamento di pensiero, piuttosto che di un altro, soprattutto per una società in cui nessuno possa imporre divieti ed obblighi in nome di un'autorità priva del consenso delle persone sulle quali pretende di esercitarsi.
Torino, 25 novembre 2007