Coppie di fatto, i registri dicono che non è un'urgenza nazionale

di Assuntina Morresi, Il Foglio, 3/8/2005
Roma. “Un fenomeno che ha assunto le dimensioni registrate dall’ultimo rapporto dell’Istat, con il passaggio nell’ultimo decennio a 550mila unioni di fatto, che sono addirittura il doppio dei matrimoni, fenomeno di cui il legislatore deve occuparsi”: è un brevissimo stralcio dell’audizione del professor Stefano Rodotà alla Commissione giustizia della Camera, avvenuta lo scorso 21 luglio, nell’ambito dell’indagine conoscitiva “sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà”. Urgenza nazionale, quindi, priorità nell’agenda politica, tema caldo nel prossimo scontro elettorale. Ma guardando davvero i numeri sorgono i dubbi.
 Nel rapporto Istat 2001 (al quale fa riferimento Rodotà) si legge : “Le coppie in cui i due partner non sono coniugati fra loro sono 510.251 e costituiscono il 3,6 per cento del totale delle coppie; esse sono in aumento rispetto al 1991, quando rappresentavano soltanto l’1,6% (216.005 unità).”
 
 Le coppie censite sono eterosessuali. Solo il 3.6 per cento di tutte le coppie, quindi, ma pur sempre un milione di persone, senza contare gli omosessuali. Eppure sembra esistere una sola associazione che le rappresenti: è la Liff , Lega italiana famiglie di fatto, fondata nel 1997 da Franco Grillini, che “si prefigge come obiettivo la tutela delle coppie non sposate e sostiene l’approvazione di una legge italiana sul Pacs” e alla quale possono aderire coppie omo ed eterosessuali. E poi c’è Arcigay, di cui Grillini è presidente onorario, che ha sostenuto negli ultimi anni l’istituzione dei registri comunali delle coppie di fatto, considerati una sorta di apripista per una legge nazionale di riconoscimento delle convivenze omo ed eterosessuali.
 
Quei registri non sono stati, almeno finora, un successo. Il Giornale dell’Umbria, che del tema si è occupato il 25 luglio, segnalava che sono solo cinque le coppie iscritte nel comune di Perugia, due delle quali omosessuali. Nei registri dei comuni di Gubbio, Spello e Cannara non è iscritto nessuno, mentre a Terni, l’altro dei cinque comuni umbri dotati del registro, i dati non sono disponibili. Nessun iscritto a Desio e a Voghera, mentre a Pisa, primo comune italiano a istituire il registro nel 1998, nell’agosto 2004 si contavano solo venti coppie iscritte. Il doppio rispetto a quelle del 2000, anno in cui solo una fra quelle registrate era omosessuale. Insomma, un conto è descrivere Pisa come l’oasi degli omosessuali d’Italia (lo fa Panorama nell’ultimo numero), un conto è misurare il successo delle unioni civili, assai poco praticate anche da chi potrebbe farlo. A Firenze, alla nostra richiesta sul numero di coppie iscritte, ci è stato risposto: “poche”. Alla fine dello scorso anno, risultavano istituiti 28 registri in altrettanti comuni italiani, ma non è disponibile un elenco pubblico dettagliato del numero delle adesioni. Ci sono poi situazioni come quelle di Bologna, dove dal 1999 esiste l’“attestato di costituzione di famiglia affettiva”.
 
Da Repubblica sappiamo che “sono circa cento le coppie gay riconosciute in Italia dai comuni del nostro paese con il registro delle unioni civili”, mentre Davide Santandrea, presidente della Nuova Gay Lesbica Nazionale, in un comunicato stampa dello scorso 5 luglio lamenta il fatto che “le convivenze gay registrate negli elenchi comunali delle unioni civili non raggiungono neanche il 10 per cento”, e che “i registri delle Unioni civili tanto divulgati da Arcigay si sono manifestati un vero flop”. In conclusione, circa duemila persone (considerando etero e omosessuali) in tutto.
 Sarebbe interessante, per avere un termine di paragone, sapere quale sia la situazione nei paesi dove esiste una vera e propria regolamentazione a livello nazionale delle convivenze omo ed eterosessuali, ma finora alla Commissione giustizia della Camera, dove il tema è dibattuto, nessuno ha presentato un quadro numerico completo.
 Cerchiamo di ricostruirlo noi, almeno in parte, per l’Europa.
 
In Francia, la stipula dei Pacs è diventata un verbo di uso colloquiale, e ci si può “pacsare” dal novembre 1999. Nel 2003 erano 73.000 le coppie che avevano scelto i Pacs, ma più di due milioni e mezzo continuavano a convivere liberamente (meno del tre per cento di adesioni, quindi). Il dato non distingue, perché espressamente vietato dalla legge francese, tra coppie etero e omosessuali. Altrove, come in Olanda, primo paese al mondo ad ammettere il matrimonio fra omosessuali, si può invece fare un confronto anche su questo piano. Dall’aprile 2001 al dicembre 2004 si sono registrati 6.893 matrimoni omosessuali e 306.150 eterosessuali. Nella Spagna di Zapatero, nei primi quattro giorni dall’entrata in vigore della nuova legge sul matrimonio, sessanta coppie omosessuali ne hanno fatto ufficialmente richiesta: considerando lo stesso ritmo per tutto l’anno, si avrebbero 5400 matrimoni. Dato ben lontano dai centomila in tre anni, come suggerito da alcune associazioni gay, ma compatibili con i numeri riportati dall’Istituto nazionale di statistica che contava nel 2001 quasi nove milioni di matrimoni a fronte di 10.474 coppie omosessuali. Attraversiamo la Manica , e scopriamo che nel febbraio del 2004, il Guardian riferiva con sconcerto i risultati di una ricerca governativa sul numero di coppie omosessuali (riferiti a England e Galles). L’Ufficio nazionale di statistica contava 78.522 persone conviventi in coppie omosessuali, in riferimento al censimento del 2001: una proporzione di uno a cinquemila, considerando la popolazione adulta. In Norvegia dal 1993 al 2001 sono state riconosciute 1.293 coppie omosessuali, nella vicina Svezia fra il 1995 e il 2002 sono state 1.526. In Belgio, nei due primi anni dall’entrata in vigore della legge sono stati celebrati 2.442 matrimoni fra omosessuali, e in Danimarca in dieci anni le coppie omosessuali registrate sono state 3.200. Numeri a dir poco modesti: siamo sicuri che anche da noi sia una vera “urgenza nazionale”?

di Assuntina Morresi
 Il Foglio 3.8.2005