Cristopher Dummitt è un professore associato di Storia che insegna alla Trent University, in Canada. Dummitt è noto in USA e Canada soprattutto per la pubblicazione di The Manly Modern: Masculinity in Postwar Canada (2007). In questa opera si sostiene che il genere sessuale è in realtà un costrutto sociale collegato al potere e non ha nulla a che vedere con il dato biologico.
Dummit ha ammesso, in un articolo pubblicato su Quillette, di aver sostenuto indebitamente questa teoria all’interno dei gender studies. Dummit non nega in questo articolo che un certo numero di identità sessuali possano essere determinate dalla società.
Quello che ritratta esplicitamente è la fallacia metodologica che viene normalmente usata per motivare questa teoria: se si dà per scontato e assodato un assioma, non c'è nessun motivo per dimostrarlo. E in molti studi di genere, secondo Dummitt, l’ipotesi che il genere sessuale sia definito dalla società e non dalla biologia, viene utilizzata come assioma indimostrabile e non come oggetto della dimostrazione.
Abbiamo tradotto alcuni passaggi fondamentali dell’articolo originale, dal titolo: Confessions of a Social Constructionist (Confessioni di un costruttivista sociale)
Adesso la mia grande idea è dappertutto. Emerge soprattutto nei discorsi sui diritti dei transessuali e le politiche che riguardano la partecipazione di atleti transessuali nelle competizioni sportive. Si è iniziata a tramutare in leggi che essenzialmente minacciano ripercussioni per chiunque possa accennare al fatto che il sesso possa essere una realtà biologica. Un’affermazione del genere, per molti attivisti, è paragonabile ad un hate speech.
Se si prende in considerazione la posizione dei miei avversari di dibattito degli anni ‘90 - ovvero che il genere è basato almeno in parte sul sesso, e che ci sono due sessi (maschio e femmina), come i biologi hanno affermato sin dall’alba della loro disciplina scientifica - gli ultra-progressisti affermeranno che si sta negando l’identità di una persona transessuale, che è come dire che si vuole danneggiare ontologicamente un altro essere umano.
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A un livello molto basilare non avevo alcuna prova per parte di ciò che sostenevo. Così rimanevo bloccato con ardore bloccato nella discussione, e deploravo i punti di vista alternativi ai miei. Intellettualmente non era un buon modo di comportarsi. E questo è ciò che rende così deludente che le prospettive per le quali combattevo così ferocemente - e senza basi teoriche - adesso siano state accettate da molti nella società.
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Ecco come funzionava la mia metodologia: in quanto storico, sottolineavo di sapere che le variabili storiche e culturali erano moltissime. Il genere non era sempre stato definito allo stesso modo in tutti i tempi e tutti i luoghi. Come ho scritto in The Manly Modern, è “un insieme di concetti e relazioni storicamente soggette al cambiamento a dare significato alle differenze tra uomini e donne”. Come si poteva affermare che l’essere uomo o l’essere donna fossero radicati nella biologia se avevamo la prova del loro cambiamento attraverso il tempo?
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Così, se qualcuno negava che il genere e il sesso fossero variabili, se suggeriva che nel genere e nella sessualità ci fosse davvero qualcosa di biologico e non soggetto al tempo, erano etichettati come sostenitori del potere. Erano definiti apologeti dell’oppressione.
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Avevo delle risposte, ma non le avevo trovate nelle mie ricerche principali. Provenivano dalle mie credenze ideologiche - anche se a quel tempo non le avrei chiamate in questo modo.
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Certamente era possibile partire dallo stesso materiale e trarre conclusioni totalmente plausibili e differenti dalle mie. È possibile che i canadesi nel dopoguerra avessero costruito socialmente l’idea che i gli uomini fossero più propensi ad una vita rischiosa? Sì è plausibile. Ma è anche plausibile che i canadesi avessero parlato degli uomini in questo modo perché, mediamente, gli uomini… si prendono più rischi. Questo potrebbe essere, infatti, semplicemente il modo in cui sono fatti gli uomini. In ogni caso la mia ricerca non prova nulla in alcuna maniera. Semplicemente, ho dato per assunto che il genere fosse un costrutto sociale e ho proseguito su questa base.
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Questa confessione non deve essere interpretata come la dimostrazione che il genere non sia, in molti casi, socialmente strutturato. Ma i critici dei costruttivisti sociali hanno il diritto di dubitare delle cosiddette prove presentate da presunti esperti. Il mio ragionamento fallace non è mai stato sottolineato e al contrario è diventato solo più ideologicamente accentuato.
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