Le fonti islamiche sulla Sindone

di Stefano Grossi Gondi, 30 marzo 2017

La storia della Sindone è ben documentata a partire dal XIV secolo, mentre per il periodo precedente le conoscenze sono parziali e lasciano aperte soltanto delle ipotesi. Emanuela Marinelli, docente presso il Centro Romano di Sindonologia alla Lumsa, ha raccontato sull’ultimo numero di Studi Cattolici la storia della misteriosa immagine di Edessa, che si svolge nell’interessante contesto delle relazioni tra il mondo cristiano e quello musulmano.

Ma andiamo con ordine. La data di riferimento è il 1356, quando il famoso velo venne in possesso del cavaliere crociato Geoffroy de Charny. Sua nipote, Marguerite de Charny, la consegnerà nel 1453 a Ludovico di Savoia e un secolo più tardi la Sindone verrà trasferita da Chambery a Torino, dove si trova ancor’oggi.

Ma prima di Geoffroy de Charny cosa successe? Secondo la studiosa Marinelli, è plausibile la pista che parte dalla moglie del cavaliere crociato, Jeanne de Vergy, che era una pronipote di Othon de la Roche, altro cavaliere crociato che probabilmente portò la Sindone in Francia dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204.

"Lo storico Ian Wilson ritiene, con fondati motivi, che la Sindone sia giunta a Costantinopoli nel 944 ripiegata in modo da mostrare solo il volto; era ritenuta una miracolosa impronta di Cristo. Questa immagine «non fatta da mani umane», che i bizantini chiameranno Mandylion, era conservata a Edessa da tempo immemorabile ed era stata la fonte ispiratrice di tutte le antiche raffigurazioni del volto di Gesù. In effetti le antiche icone hanno un’impressionante somiglianza con il volto sindonico.

Si Hamza Boubakeur, teologo islamico, direttore dell’Istituto Musulmano della Moschea di Parigi dal 1957 al 1982, ha trovato preziose notizie sull’Immagine di Edessa nelle fonti islamiche. La fama della preziosa reliquia la rendeva molto ambita. Quando l’imperatore bizantino Romano I Lecapeno volle entrarne in possesso, inviò l’esercito sotto il comando del generale armeno Giovanni Curcuas.

L’emiro di Edessa si aspettava un violento attacco da parte degli ottantamila soldati che erano giunti, minacciosi, sotto le mura. Ma il generale Curcuas iniziò invece una trattativa: era pronto a risparmiare la città e a rilasciare duecento prigionieri musulmani del più alto rango, aggiungendo la somma di dodicimila pezzi d’argento, in cambio della semplice consegna dell’immagine. L’emiro rimase sconcertato dalla richiesta. La comunità cristiana si sarebbe opposta strenuamente alla confisca dell’inestimabile reliquia e lui lo sapeva bene".

Per risolvere l’imbarazzo, l’emiro si consultò con il califfo di Baghdad, al-Muttaqî, e vennero sentiti tutti i saggi della città. Nell’ambiente islamico c’era “grande rispetto per il Mindîl – ovvero il fazzoletto – del profeta Gesù, che – secondo le fonti islamiche – fu trasportato a Ruhâ (nome arabo di Edessa) all’inizio del VII secolo d.C., dopo essere stato conservato a Efeso, Damasco e Antiochia. Il Mindîl o Mandîl era conservato nella vecchia cattedrale (Al Kanîssa-l-Kubra). Alcuni imperatori vi venivano segretamente a fare periodi di ritiro e i musulmani, tolleranti, chiudevano un occhio. Una di queste pie visite nell’VIII secolo fu segnalata al Califfo Hârûn ar-Rashîd, che decise però di non dare seguito alla cosa”.

Dopo lunghe discussioni, gli islamici arrivarono alla conclusione che la liberazione dei prigionieri dalla loro cattività, la fine posta alla loro sofferenza, all’incomodo che essi sopportavano, fosse preferibile alla conservazione sul loro territorio del prezioso Fazzoletto.

“Condividendo il suo punto di vista, il califfo diede ordine di riconsegnarlo ai bizantini, a condizione di liberare i prigionieri musulmani. Ordine che il gran visir fece eseguire inviando presso l’Imperatore un plenipotenziario per ricevere i prigionieri che furono rilasciati. L’imperatore di Bisanzio si impegnò anche, su richiesta del califfo, a non inviare altre spedizioni militari contro Edessa, cui veniva garantita una perpetua immunità”.

La consuetudine di ripiegare la Sindone in modo da mostrarne soltanto il volto giustifica quindi la sua identificazione con il Mandylion (fazzoletto) che per secoli fu conservato in terra islamica fino all’episodio qui raccontato. Altro elemento che porta alla identificazione tra Sindone e Mandylion è il fatto che dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204 della Quarta Crociata, del Mandylion non si è avuta più notizia, mentre da allora ci sono tracce dell’esistenza della Sindone in partenza da Costantinopoli, come abbiamo detto prima. L’insieme di tali circostanze consentirebbe quindi di allungare la storia della Sindone fino al VI secolo d.C.

Se ti è piaciuto l'articolo condividilo su Facebook  e  Twitter, sostieni Documentazione.info